sabato 12 dicembre 2009

Il capitale-macchina

Liberismo è il mercato libero, il libero scambio di merci. Ciò che fa fruttare i capitali. Nel suo aspetto estremo la mercificazione riguarda tutto e tutti. In questo sistema libertino, più che liberale, conta il capitale, e chi vi predomina è colui o coloro che dispongono di maggiore ricchezza e dunque che riescono più a far circolare la merce e la moneta. Capitalismo e democrazia sono due antitesi. Non vi può essere democrazia effettiva con il capitalismo, poiché la maggioranza viene sfruttata e non può essere mai sovrana, come suol dirsi. Il paradosso è che non vi può essere nemmeno democrazia a sé stante, poichè questa rappresenta solo un'astrazione e non una realtà di fatto. In qualsiasi sistema, come in quello naturale, predomina il più forte, il più intelligente, il più scaltro, ovvero chi riesce a controllarlo e a sfruttarlo nel suo complesso. La legge della jungla, appunto. Non vi sono altre alternative. La nostra o le nostre democrazie occidentali sono e possono essere soltanto democrazie capitalistiche. Chi non è capace di produrre ricchezza, ovvero, chi non riesce o non vuole o non può far circolare le merci, o ancor più non abbia la capacità di mercificare tutto e tutti, resta relegato ai margini, escluso, recuperato semmai, in qualche modo, come prodotto di consumo, da reinserire dunque nel mercato libero; ma libero il mercato lo è per una minoranza che controlla il resto e fa funzionare il sistema. Questo è asettico e privilegia il capitale, la legge quindi del più forte, di chi è senza scrupoli. Non c'è dunque da stupirsi se, in un sistema come questo, predominano, lo sfrutamento umano, la povertà in vaste regioni del mondo, la propaganda e lo smercio di prodotti nocivi, quali per esempio farmaci per malattie inventate ad hoc dall'industria farmaceutica, la pornografia, pedofilia, la contraffazione, la corruzione, la mafia, e chi più ne ha più ne metta. La visione che si presenta è quella di un'eterna lotta per la sopravvivenza, con alti e bassi, che gira attorno a due poli ideali, a volte apparentemente in contraddizione, a volte in equilibrio instabile ma, in effetti, funzionali all'apparato complessivo: il capitale e il sistema (democratico o dittatoriale che sia). Per usare un paragone, il capitale potrebbe essere rappresentato dal carburante e il sistema dalla macchina. La sua funzionalità esula dall'ideologia che ne potrebbe soltanto compromettere il funzionamento; ogni sistema creato(si) è autarchico e per forza di cose è dedito allo sfruttamento.

La condizione umana (condizionata da questo apparato infernale) è quella di sfruttati e sfruttatotri, con ampie fette di follia, ovvero incapacità a sottostare a questi due limiti imposti come categoria pre-definita dalla macchina-capitale.

mercoledì 9 dicembre 2009

Ancora sull'ADHD

È incredibile il diportage (sic) del tiggì, come abbiamo visto nel post precedente. La questione dell'ADHD è alquanto controversa, ma i telegiornalieri riporta(va)no la notizia (e non il fatto) in modo unilaterale, a senso unico, con l'esperto di turno, l'intervista dei genitori, la voce fuori campo, ecc... Insomma abbiamo visto il cocktail preconfezionato pronto per il consumatore, ormai consumato e lobotomizzato dall'uso ed abuso del mezzo tele-invasivo. E la controversia dov'è, uno si chiederebbe?... Non certo nella notizia riportata. Ci sono tante altre campane di tutto rispetto e non privi di esperienza e deontologia professionale. È incredibile quanto dissenso e diversità di punti di vista si trovino su Internet riguardo a questa malattia accredita dall'ufficialità medico-industriale.

Comunque anche su Wikipedia vengono espresse controversie generali circa la diagnosi e l'esistenza della malattia
"Quando le autorità scolastiche dicono a una madre, che suo figlio è malato e necessita di essere farmacotizzato, come lei sa che succede nel mondo, ciòè semplicemente una menzogna. Come fa lei a riconoscere ciò che gli esperti chiamano "Deficit d'Attenzione con Disordine Iperattivo" [Attention Deficit Hyperactivity Disorder = ADHD]... semplicemente: non è una malattia. Ora, tale madre non è un'eperta della storia della psichiatria. Lei non sa che la psichiatria ha per centinaia di anni, usato termini diagnostici, cosiddetti termini diagnostici, per stigmatizzare e controllare la gente".

"Quando gli schiavi negri nel Sud scappavano verso la libertà, non è che essi lo facessero per la voglia di essere liberi, ma perché essi soffrivano di una malattia chiamata drapetomania [da drapetes 'schiavo in fuga' e mania]. Non me lo sto inventando. Questa era una disgnosi leggittima. Proprio come lo è il Deficit d'Attenzione con Disordine Iperattivo. Le donne, metà popolazione del genere umano dunque, se erano così pazze da ribellarsi alla dominazione dell'uomo, bene, allora esse avevano una seria malattia chiamata isteria, dovuta al loro utero impazzito".

"Ora nessuno di quei comportamenti è mai stato una malattia, e non è una malattia. Non lo è il disturbo da deficit dell'attenzione. Nessun comportamento buono o cattivo che sia può considerarsi una malattia. Niente a che vedere con le malattie. Così non m'importa come un bambino si comporti. [...] Dire che un bambino è mentalmente malato è una stigmatizzazione, non è una diagnosi. Dare a un bambino uno psicofarmaco è avvelenarlo, non curarlo". (Thomas Szasz, vedi anche su youtube il video Dr Thomas Szasz on Psychiatry )
Se si va su Internet, specialmente su Youtube, c'è un vasto assortimento di dissenzienti, persone che non possono di certo essere considerate dei ciarlatani, dato che sono dei veri professionisti del settore a tutti gli effetti. Mentre il tiggì prosegue imperterrito verso la sua metà unidirezionale con la sua pappardella preconfezionata di regime. Ma si rendono conto della responsabilità che hanno, costoro? Oltre alla fiducia riposta mal ripagata, mi chiedo che futuro possa avere questo tipo di (dis)informazione prezzolata ad oltranza.

È un informazione questa che gira su sé stessa, o meglio, intorno al potere economico (dell'industria farmaceutica in questo caso), avulsa dalla realtà e/o dal fatto, conformata e divulgata secondo gli interessi economici che vi si celano dietro e dentro la notizia. La tivvù, questa televisione statale delle meraviglie, ci vende al migliore offerente. Buttatela nel cesso. Proverbialmente avverso al tubo (catodico), a questo elettrodomestico fin troppo domestico, Eduardo De Filippo, quando veniva chiamato a telefono da qualche addetto della Rai di allora, diceva; "aspettate un momento, che adesso vi passo il frigorifero".

E si trattasse soltanto di una barzelletta!

Sarebbe opportuno tenere la ricerca scientifica e l'industria della salute separate dalla politica, ma spesso questo non si può, tanto sono così inestricabilmente intrecciate l'una all'altra. Elio Veltri, italiano di casa nostra (e non di cosa nostra) spiega qualcosa di generico, ma molto inquietante, che i vari tiggì gossippari (ormai quasi tutti della stessa impronta aziendale) spesso e volentieri tacciono, quando elargiscono a piene mani la loro paccottiglia irregimentata di notizie (e non solo riguardo alla salute e al mercato dell'industria farmaceutica). Non riuscendo a spiegarmelo diversamente, posso solo intuire che probabilmente anche loro, in un modo o nell'altro, fanno parte della filiera a cui fa riferimento Veltri.
"I conflitti di interesse attraversano tutta l'industria. Noi abbiamo solo parlato di un capitolo dell'industria che è quella dei farmaci che è sconvolgente, perché l'industria farmaceutica ha i profitti più alti in assoluto, rispetto a tutte le industrie, e i conflitti di interesse si determinano in tutta la filiera, cioè: la produzione, l'industria farmaceutica, la ricerca scientifica, le riviste scientifiche, le società medico-scientifiche, i medici, le associazioni dei parenti dei malati (anche loro sono pagati dalle industrie farmaceutica), i propagandisti e, cosa più grave in assoluto, insieme a quello della ricerca, le autorità di controllo, che cioè devono decidere se un farmaco è sicuro e se può essere immesso sul mercato" (Elio Veltri, vedi anche il video La scomparsa dei fatti di Marco Travaglio e Elio Veltri).

domenica 6 dicembre 2009

Se sei iperattivo, sarai psicofarmacotizzato


Ecco una delle solite puntanate telegiornaliere. Ci sono tutti gli ingredienti della coercizione ai consigli per l'acquisto della merce, in questo caso l'utente-usato acquista una cura fornita dall'establishment medico, tramite l'informazione praticata a tappeto e nel suo ristretto ambito con-dominiale. L'industria farmaceutica, in questo caso, detta il modo dell'informazione alla speaker RAI. C'è l'esperto di turno, il camice bianco questa volta in borghese, che spiega in termini pseudoscientifici divulgativi, rassi-curante; ci sono una magnifica coppia di genitori-modello (già modellati e formattati secondo norma), felici per la cura fornita al loro figliolo iperattivo, testimoniando così con la loro esperienza diretta (e inconfutabile) l'efficacia del farmaco e la bontà sublime del sistema medico-industriale che secondo quanto viene propagandato pare desidera la salute del cittadino. La musica di Vasco Rossi in sottofondo, la giorn(an)alista sicura di sé a dare la notizia; insomma la pappa è pronta per il teleutente usato-usabile.


Su questa dei farmaci e psicofarmaci somministrati così indiscrimminatamente, a bambini e non, ce ne sarebbe tanto dire. Invece la tivvù statale dell'industria dell'informazione fornisce la sua informazione-preconfezionata.

Le minacce di pena implicite, che non si dicono in tivvù, sono quelle rivolte ai genitori che potrebbero avere la tendenza a rinunciare a curare i figli secondo i consigli (imposizioni) proposti-minacciati dalla medicina ufficiale. Sotto sotto c'è l'intenzione (sottaciuta per ovvie ragioni), di screditare i genitoti come educatori e tutori dei loro figli, qualora rinunciassero a curarli secondo norma medicale. Una forma di omissione di soccorso, insomma, per coloro che mostrassero dubbi e tendenze contrarie a ciò che viene ufficialmente contrabbandato dall'informazione-statale-farmaceutica.

È assurdo somministrare farmaci e psicofarmaci a quella tenera età. Ovviamente democraticamente (o democriticamente), in perfetto stile mafio-informativo non si è fatta sentire l'altra campana, quella dei medici dissenzienti, che non condividono la visione a 360 gradi proposta di questa propagandata cura unidirezionale. Questa è la televisione dittatoriale statale-industriale. Se ci fosse stato un contradditorio, probabilmente avrebbero fatto in modo che fosse stato scelto fra persone meno competenti e facili da massacrare linguisticamente dai ben più preparati padroni del campo, che giocano in casa, che fanno le regole del gioco e la verità dell'informazione.

"Ecco ciò che resta del Sandrino [bambino o teleutente-usato] originale. Lo abbiamo riempito di contenuti e adesso è ambizioso nel piccolo, appagato del suo semi-io e magnificamente corrotto e funzionale".

- "E se un domani avesse qualche pretesa?..."

La mia esperienza personale m'insegna tante cose. Ho subito la somministrazione di psicofarmaci a mia insaputa, poichè si era deciso così, secondo il parere autorevole dei dottori specialisti del settore, che quella doveva essere la mia cura e il mio destino. Posso dire che il danno irreversibile c'è stato senz'altro, ma non lo confesserei mai ai dottori dipendenti statali-industriali, poiché, per bene che vada, non servirebbe a niente. Il muro non risponde. Ma come suol dirsi, si resta come voce fuori dal coro, come un'esile voce di chi grida nel deserto, difficile se non impossibile da ascoltare.

I miei felici genitori di allora, di alcuni decenni fa, mi imbottirono di psicofarmaci, con le evidenti gravi conseguenze immaginabili. Fatto sta che arrivato ormai all'età adulta e della ragione, feci richiesta esplicita, di essere informato riguardo a questo assurdo trattamento psicofarmacologico. Non ci credereste: muro di gomma. Non solo da parte dei medici-psichiatri (ormai non direttamente coinvolti), ma soprattutto da parte dei miei genitori, mia madre in special modo. Alla mia richiesta rispondeva incredibilmente con un netto rifiuto, arrabbiata, come se stessi per farmi rivelare un alto segreto di Stato. Chi cercava di coprire o da chi era ed è stata plagiata? - mi chiedevo - vista l'impossibilità di strozzarla, non tanto per non finire in galera (ero e sono ancora un figliolo rispettoso e pietoso), rinunciai dopo vari tentatavi infruttuosi, finiti sempre con il solito attegiamento mafio-omertoso, incazzatissimo della mater-dolorosa. Vabbè che siamo in un paese mafiocratico, ma io personalmente ne restai e ne resto tuttora esterefatto. Non capisco proprio la spiegazione di questa impuntatura materna. Fatto sta che anche in età adulta mi venivano somministrati psicofarmaci, a mia insaputa. Lo so, poiché venni a scoprire talvolta degli psicofarmaci opportunamente e malaccortamente nascosti agli occhi del figlio pazzo, che di certo scemo non era.

Arrivo alla mia maggiore età (18 anni), e il medico Cammilleri di Campomarino (doveva avere forse qualche specializzazione in psichiatria) venne a casa a dirmi espressamente che - detto in parole povere - per il mio bene, avevo subito la cura psicofarmacologica. Mi consigliò (mi intimò con il suo affascinante savoir faire) di continuarla. In questo caso dimostrai di essere fesso..., ma ero incompetente e incapace di reagire, preso dalla fascinazione medica-curativa. A dire il vero, lì per lì, non riuscivo a capire la malattia imputatami, ma mi fidavo dell'esperto di turno che si era presa la briga di venire addirittura in casa mia a dirmi la verità e a darmi consigli. Passarono alcuni anni (quasi un decennio) e cominciai a rendermi conto della fasullità della psichiatria e della medicina ufficiale in generale. Rinunciai a prendere farmaci, rinuncia alla quale sopperiva mia madre, a mia insaputa, dietro ovvio consiglio medico. Mi ritrovai insomma ancora psicofarmacotizzato, nonostante la mia maturità, ovvero la capacità di intendere e di volere, apparentemente ed ufficialmente concessami. On n'échappe pas à la machine. Se non credi alla cura, sarai ugualmente in-curato. Da queste tristi esperienze personali deduco che la somministrazione degli psicofarmaci avvenne all'età di sette anni (dico sette anni), dopo essere stato dimesso dall'ospedale per un attacco di meningite, quasi certamente dovuta a una maledetta vaccinazione scolastica. Anche per la vaccinazione scolastica e la malattia da dichiarare ci fu allo stesso modo un muro di gomma genitoriale-dittatoriale univoco. Ma questo è un altro fatto, anche se strettamente
correllabile.

Anatomia dell'informazione
Giornalume tele-invasivo: - ... Bambini iperattivi che non si fermano mai. Spesso si tratta di una vera malattia che va curata con dei farmaci per il benessere dei bambini.Perché è una malattia? Perché non il benessere delle industrie farmaceutiche? Perché non viene abbozzata nessun altra possibilità di cura alternativa? 
Padre: - Ebbene, i problemi sono sorti con la scuola, scarsa socializzazione, poco rispetto delle regole, poca applicazione proprio a livello didattico, quindi problemi con i compagnetti, con gli insegnanti,...Importantissima è l'apprensione dei genitori (in genere vittime della loro stessa ignoranza) per la salute del bambino. Lo spettro dell'asocialità e della diversità incombe come una nube futuribile e minacciosa sulla famigliola
Madre: in piscina si ribellava e a un certo punto ha tirato la tavoletta addosso alla sua istruttrice...Sostegno materno alla cura
Voce fuoricampo telegiornaliera: - Impulsivo, aggressivo, sfugge alle regole e alla compagnia dei coetanei. È un bambino iperattivo. Alla base dei suoi comportamenti non c'è la semplice vivacità, né un problema di educazione, ma una malattia: la sindrome da deficit di attenzione.Viene stabilito una volta per tutte che non vi è alternativa e altra causalità. Si tratta appunto di una malattia: la fantascientifica sindrome da deficit di attenzione.
Esperto di turno (in borghese) [al secolo prof. Paolo Curatolo, neuropsichiatra infantile dell'Università di Tor Vergata (ROMA)]: - Il disturbo da deficit con attenzione di iperattività, è uno dei più comuni disturbi del comportamento del bambino ed è caratterizzato da eccessivi livelli di inattenzione, con un comportamento di iperattività e di impulsività. Non è un disturbo banale o passeggero, perché tende a persistere nella maggior parte dei casi, anche nell'adolescenza, dove si verifica a volte un disturbo positivo-provocatorio, e delle condotte di disadattamento sociale.Non si fa che ribadire il concetto precedente di indiscussa malattia senza altra possibilità curativa e causalità. 
Voce fuoricampo telegiornaliera: - Malattia che colpisce in forme più o meno gravi, un ragazzo su trenta. Comportamenti tipici: non sedersi a tavola durante il pranzo, guardare la tivvù a testa in giù, non concentrarsi nei compiti e muoversi di continuo. Statistica propagandata a sostegno della realtà della malattia. 
Esperto di turno (in borghese): - Le cause sono di tipo neurobiologico. I fattori genetici hanno una rilevanza importante, associati però a dei fattori di rischio prenatali e perinatali, come ad esempio l'esposizione al fumo e all'alcool in gravidanza e una nascita di basso peso o a una nascita prematura.Conferma e rafforzamento ulteriore della diagnosi, senza possibilità di smentire, dato che non c'è contraddittorio da parte di altri medici.
Voce fuoricampo: - Ma la sindrome spesso non viene riconosciuta, in famiglia o a scuola, dove il bambino può suscitare l'ostilità degli altri.Di nuovo la descrizione sintomato(i)llogica e la possibilità di comprendere un certo comportamento atipico del bambino.
Padre: - Lo isolavano. Lo isolavano letteralmente e quindi lui diventava ancora più cattivo. Perché... il problema è che loro andavano avanti anche a livello didattico... lui vedeva la differenza, la nota, e quindi cercava di fermarla in qualunque modo. Il modo poteva essere a volte anche fisico.Sostegno paterno e descrizione degli effetti dovuti al comportamento anomalo nel bambino.
Voce senza-scampo telegiornaliera: Il disturbo si diagnostica osservando il bambino a casa, a scuola e nel gioco... Testi psicologici studiano lo sviluppo delle sue facoltà. Qui il piccolo paziente è invitato a riconoscere gli elementi mancanti nelle figure che gli vengono mostrate. Riesce a concentrarsi per pochi minuti. Ma per tutto questo esistono oggi terapie efficaci.Ribadire il concetto di diagnostica e malattia e il fatto che esiste soltanto questo tipo di cura  (terapie efficaci) : farmacologica e di tipo psico-educativo e cognitivo-comportamentale come più avanti espresso dal camice bianco in borghese.
Esperto di turno (in borghese): - Nei casi più lievi utilizziamo dei programmi di tipo psico-educativo e cognitivo-cmportamentale, che sono in grado di ottenere dei miglioramenti. Nei casi più gravi, quando i sintomi sono più critici, è necessario abbinare ai trattamenti cognitivo-comportamenteli, un trattamento farmacologico che può migliorare in modo significativo, già in poche settimane, la qualità della vita dei bambini e migliorarne la prognosi a distanza.Colpo di (dis)grazia informativo e sproloquio iperdidattico. Cosa sarranno mai i programmi di tipo psico-educativo e cognitivo-comportamentale? Cos'è la prognosi a distanza? Linguaggio tecnico; quanto basta per garantirne l'incomprensione e l'adesione incondizionata alla cura ai più.
Madre: - S'è visto subito che lui prendendo il medicinale è migliorato a 360 gradi, diciamo, e praticamente adesso interviene quando i bambini giocano. Relaziona con tutti quanti. Riesce a stare un pochino di più in classe, non si alza come faceva prima... La voce della mamma non dà adito a dubbi: il risultato della cura è più che soddisfacente. Peccato che non si è intervistato il bambino, e del resto cosa potrebbe dire e controbattere una volta per tutte che si è deciso per lui e del suo destino.
Padre: - Non sottovalutare [tempestiv]amente questi segni del bambino che comunque sono veramemente risolvibili... Idillio finale con Vasco in sottofondo che entra prepotentemente in scena musicalmente cantando: anche se tante cose un senso non ce l'ha...]. Tante cose non ce l'hanno un senso. Ma, nel caso della medicina statale-industriale, si trova sempre modo di dare un senso della malattia a tanti comportamenti che un senso non dovrebbero proprio averne.
SCONCLUSIONE.

L'informazione fornita non ha nessun contraddittorio, e nessuna possibilità quindi di repliche. È ben costruita, professionalmente. I giorna(na)listi sono abbastanza ben preparati nel curare la forma e il meccanismo della notizia, ma il contenuto è quello fornito dal potere, industriale in questo caso. Appare diverse volte l'esperto di turno ufficiale, e mai un medico alternativo (e ce ne sono tanti!) che possa controbattere a queste asserzioni soliloquiali ammantate da scientificità. Brutta cosa quando oggi come oggi la scienza è asservita al potere economico. La genitorialità espressa in tutta l'ignoranza (nel senso che ignora) e apprensività, volta a giustificare, o se non altro, a rafforzare l'informazione nel suo complesso.

Esistono anche trasmissioni alternative, alquanto rare, come per es. C'era una volta che, anche se non arrivano proprio a una visione massima di 360 gradi, forniscono comunque notizie abbastanza attendibili e affidabili, rispetto a certi telegiornali demenziali-padronali che non ne forniscono proprio, o meglio: forniscono la notizia, ma chissà dove si sarà smarrito, strada fingendo, il fatto. Nel video sottostante l'inchiesta svela la drammaticità del business farmaceutico e alla malattia, così forbitamente chiamata sindrome da deficit di attenzione, viene data uno scarso valore statistico. Nel parolume del telegiornale non se ne fa menzione di questa faccenda tremenda. Si informa del fatto che spesso certi comportamenti del bambino, come l'iperattività, sono sintomi di una malattia. Perché il problema è affrontato così diversamente nelle due inchieste o informazioni?... anzi nel primo caso sembra che il problema non viene affrontato proprio: si dà una visione tipica dell'evento come fosse pubbicità e non inchiesta, talché la notizia, così curata nella forma, sembra sottendere un'informazione da consigli per gli acquisti e non la notizia riportata di un fatto. Diceva qualcuno che "i giornalisti informano i fatti e non sui fatti". Ed è così. Vedere e confrontare le due versioni per credere.

Comunque entrambi, sia il telegiornale che l'inchiesta, hanno questa tara di fondo: la definizione di malattia per un determinato comportamento del bambino. Non si rinuncia mai definitivamente alla dittatura della scienza ufficiale. La medicina detta sempre legge. Parlo per quel 3 o 5% di bambini che dovrebbero esserne affetti. In questo caso, potrei anche credere ad una malattia ma non nell'efficacia della cura, per forza imposta(ta) e determinata con parametri di definizione forniti dalla medicina ufficiale. Manca in un modo o nell'altro sempre il suono di un'altra campana. Dove c'è o si presume vi sia una malattia, c'è sempre pronta la cura medica e mai una qualche cura alternativa che la possa sostituire. Chissà mai perché...

sabato 5 dicembre 2009

Giorgio Antonucci, la Psichiatria

Vedi
sulla porta

sotto lo spioncino
i segni
delle mie unghie
le impronte delle mie mani
è quella
la mia storia
di detenuto

il mio diario. (Giorgio Antonucci)
ascolta la versione recitata  


Parte del discorso estratto dal video

La psichiatria fa parte di un mondo in cui l'individualità, la libertà, sono una minaccia, cioè un mondo che vuole omologare tutti, e si vede si va sempre più in quella direzione, non a livello italiano, ma a livello internazionale. Allora, se tutti si deve essere uguali, se tutti si deve essere sottomessi, se tutti si deve parlare lo stesso linguaggio, gli psichiatri servono. [...] Emmanuel Kant diceva: se il pensiero è libero, non c'è alcun limite che gli si possa porre. Il pensiero libero significa che io posso dire le cose che risultano vere e le cose che risultano false, le cose che risultano dimostrabili e quelle fantastiche, le cose che possono essere dimostrabili scientificamente e quelle che non lo sono. Per questo l'uomo ha fatto tante cose. Se il diavolo esiste e lo dice il papa, milioni di persone ci credono... [mentre] se una donna di campagna, che fa una vita difficilissima, dice che è perseguitata dal demonio, la mettono in una clinica psichiatrica. Sono queste le domande. [...] la medicina ci'ha due aspetti dall'antichità fino a ora, dagli egiziani fino a ora: un aspetto è il medico che si preoccupa della salute della persona che si rovolge a lui per migliorarla; l'altro aspetto è il medico al servizio dell'autorità. Sono due aspetti. Il medico al servizio dell'autorità non è al servizio del paziente. La medicina, che ha avuto sempre questa doppia faccia, nell'era moderna, dal seicento in poi, la faccia e del mantenimento dell'ordine è la psichiatria. Appunto l'istituzione manicomiale, pochi anni prima che io cominciassi a lavorare qui, dipendeva dal ministero degli interni: ordine pubblico. Poi l'hanno passato al ministero della sanità. Ma quando dipendeva dal ministero degli interni era più chiaro.

Il commercio è l'anima della politica

La politica viene agita dal sistema economico. In un sistema istituzionale, la democrazia (governo della maggioranza) può realizarsi o può averne soltanto la parvenza solo a livello politico, non a livello economico. La politica soggiace alle leggi e agli interessi economici. Quindi se politica è uguale a democrazia, otteniamo che l'economia è uguale a dittatura. Un'equazione del potere o meglio una sperequazione a favore di quest'ultima. L'economia prescrive la politica da attuarsi, il che vuol dire che un sistema istituzionale in realtà può essere solo apparentemente democratico, ed infatti esso è dittatoriale, anche se opportunamente velato, edulcorato, oscurato e contrabbandato altrimenti dai mezzi di (dis)informazione, in mano sempre al potere economico, più che politico, e, comunque, informano sempre di ciò che vogliono ed hanno interesse a far sapere.

Per esempio all'industria del vaccino, a quella dei farmaci e psicofarmaci in generale, ecc., quale opposizione democratica (di base, popolare o governativa) può contrastarla?... Nessuna. Non c'è contraddittorio, non vi è una opposizione effettiva. La ricerca scientifica (finanziata dall'industria), con tanto di egregi divulgatori specialistici in camice bianco, fa da garante alla bontà del prodotto propinato. Se si decide per la messa in commercio di un prodotto farmaceutico, ci deve essere già pronta per l'uso una bella malattia da curare, altrimenti bisognerebe inventarla ad hoc. La commercializzazione e l'informazione del prodotto è a senso unico, dal produttore al consumatore. Quest'ultimo non ha mezzi per ribattere e rimane così assoggettato, incapace di reazioni critiche, di autodifesa immunitaria, e del resto come può opporsi a una martellante campagna pubblicitaria che propaganda il benessere e la sua salute? L'industria dei farmaci con la salute non ci campa. Più malato è l'utente-usato, più sana e in perfetta salute è l'industria che lo cura.

Ci vorrebbe un sistema democratico applicato anche all'economia. Ma questa, per sua stessa natura, svicola, è furba, gira su se stessa e, a quanto pare, non ne vuole sentir parlare né di gestione né di partecipazione democratica sia essa popolare o governativa. Il sistema economico influisce sulla politica da attuarsi ma, in un certo qual modo, resta comunque avulso da questa, e quindi funziona in modo autoreferenziale.

venerdì 4 dicembre 2009

Introduzione

Non ci stimiamo più abbastanza quando apriamo il nostro cuore. Le nostre vere e proprie esperienze vissute non sono affatto loquaci. Non potrebbero comunicare se stesse neppure se volessero. Questo perché manca loro la parola. Le cose per le quali troviamo parole, sono anche quelle che abbiamo già superato. In ogni discorso c'è un granello di disprezzo. La lingua, a quanto sembra, è stata inventata soltanto per ciò che è mediocre, medio, comunicabile. Con il linguaggio, chi parla già si volgarizza - Da una morale per sordomuti e altri filosofi. (Friedrich Nietzstche)

   Pensare è un arte, ma un arte difficile. La difficoltà primaria nasce dai condizionamenti e dall'assuefazione del pensiero al preconcetto. Esso non può, così condizionato, fare altro che esprimere pregiudizi e, cosa non meno importante, dobbiamo tenere conto della nostra natura animale che è la natura stessa del pensiero. Come animali siamo parenti stretti delle scimmie e dei cani. Avete mai visto un cane o uno scimpanzé fare un discorso, sviluppare un concetto, esprimere un giudizio o un opinione? Ecco che la comunicazione del pensiero diventa "informazione" finisce solo per comunicare l'esteriore, il non animale, ciò che non è vero, ciò che è falso contrariamente all'illusorietà iniziale del pensiero stesso che si credeva capace nelle sue intenzionalità di comprendere o di essere compreso. Così ci adeguiamo a credere alle nostre "bugie".    La comunicazione non esiste se non come fraintendimento, come smarrimento. L'intento che si credeva capace di comprendere e misurare, presumendo in buona malafede (sic) di riferire il di-scorso ("mai appartenente all'essere parlante")  smarrisce miserevolmente  il suo dis-onesto proposito. La comunicazione vive nel suo stesso paradosso: è incapace di comunicare. Ed ecco che essa cede il passo all'informazione . Si viene in-formati secondo l'ottica di sistema.  
   Lo stereotipo, il cliché, il preconcetto, il senso comune, le formalità, placano la nostra sete di verità, ci fanno sentire al sicuro ed immuni dalla "malattia del pensare", troppo laboriosa e troppo stressante per la nostra irrinunciabile indole animale. (Carlo Giordano)


Senza ragione - Documentario antipsichiatrico - 1 di 6

Scrivere un libro che spieghi razionalmente in modo comprensibilmente chiaro il mio modo di pensare è una faccenda per me virtualmente "straordinaria". Essendo io "prevalentemente" un artista (non essendo portato al concetto e alle spiegazioni) mi trovo così a scrivere e sviluppare per così dire un linguaggio con un lessico e regole grammaticali di una "lingua" che "non conosco", come potrebbe essere per esempio quella cinese. Ne farei volentieri a meno, starei in silenzio, senza dire o scrivere una parola, anche per anni, ma da questo mutismo qualcuno potrebbe dedurre ad hoc un consenso non dato.

Chi sta ai margini vede ed è costretto a vedere cose che chi è pienamente dentro il sistema non può, non riesce, non vuole o finge di non vedere. In questa zona di frontiera mi ritrovo così: solo, emarginato, amareggiato ma certamente con più libertà di movimento. Esprimo le mie riflessioni riguardo alle strutture e le funzionalità di sistemi sociali, economici e specialmente psichiatrici. Non sono uno specialista (per fortuna) dei vari settori e di conseguenza posso commettere certamente errori di terminologia, magari non riuscirò ad esprimere bene qualche concetto. E' un problema?... No, non ce ne cale un fico secco!

La "denuncia" comunque va fatta affinché almeno qualcuno impari meglio a distinguere l’oro da tutto quello che sembra così luccicante e scontato. Scusate la presunzione, ma si impara insegnando. Almeno una persona imparerà: io. Viceversa: insegnerò imparando.

Quello che appare o vuole presumibilmente apparire come verità scientifica in talune scienze dis-umane, purtroppo come la psichiatria, rappresenta in effetti solo l'espressione di un ideologia di sistema. Il linguaggio dovrebbe giustamente esprimere un qualcosa, comunicare un pensiero, uno stato d’animo, ma ha invero dentro di sé tendenzialmente un modo di procedere e svilupparsi, diciamo per così dire, con un certo significato autonomo rispetto alla realtà presumibilmente oggettiva che si vuole esprimere. Si sviluppa in questo modo una realtà parallela autonoma diversa, fittizia, avulsa dal contesto che si vuole svelare e possibilmente in aperto contrasto con questo. Una realtà oggettiva per poter rivelare la sua essenza deve essere, paradossalmente, ipoteticamente priva di linguaggio oppure si ammetterà che: esiste un metalinguaggio ad hoc che la possa esprimere pienamente in modo obiettivo. "L'intento non corrisponde  all'esito" (Carmelo Bene). Sarebbe opportuno considerare la conferma di J. Lacan sul linguaggio ovverosia il "discorso non appartiene mai agli esseri parlanti". Noi non disponiamo attivamente del linguaggio ma lo subiamo passivamente. Non agiamo ma siamo agiti. Siamo nell'atto. Il linguaggio insomma è dotato di autonomia rispetto ai dicenti. "Mentre diciamo siamo detti" (Carmelo Bene).

Questa autonomia di linguaggio per esempio può, in qualche modo, essere sfruttabile da chi sa ben parlare in modo coerente e chiaro; una inevitabile deformazione professionale. Questa tendenza autonoma del linguaggio è "utilizzata" dagli psichiatri. Automaticamente, solo per il fatto che una persona si trova di fronte ai loro occhi, scatta la deformazione. La mente dell’analista analizza il "malato", lo deforma, lo cataloga, lo ricovera, fa la diagnosi e prescrive la cura. In effetti ciò che conta non è "quello che pensa o sente il malato ma quello che il dottore pensa e fa nei suoi confronti".
- Il dialogo viene ad essere sostituito col monologo autoritario del linguaggio professionale e dal potere sociale che lo delega - . Si capisce bene che un tale linguaggio creato, dalla categoria della maggioranza, azzittisce qualsiasi dissenso e si istituzionalizza democraticamente come dittatura autonoma (sic). Non è discutibile poiché il linguaggio già codificato non può essere contraddetto da un qualsiasi altro tipo di linguaggio poché scadrà inevitabilmente nell'incomprensione, nell'emarginazione, nel dimenticatoio, magari provocherà reazioni repressive, ecc. Il malato, a torto o a ragione, non può mai negare il linguaggio normale che lo emargina. Non ne uscirà più fuori se non a pezzi.

Si è dato verosimilmente un significato estraneo ed estraniante che non appartiene alla realtà oggettiva del soggetto e della sua malattia, ma che resta verità virtuale, estorta tramite un potere occulto , gestito da fanatici gregari e tutelato dal sistema. Altresì, come nel linguaggio, così in ogni sistema e/o struttura si innesta una similare autonomia che possiamo chiamare anche: vizi di sistema o vizi strutturali. Singoli individui creativi si troveranno sempre in difficoltà nell’interrelazione con essi, poiché i sopraddetti avranno tendenza a contrastare fortemente ogni azione creativa e modificativa nei loro confronti (ogni atto creativo è implicitamente sempre destabilizzante). Inversamente possono implicitamente o esplicitamente adottare come autodifesa misure cautelative, restrittive o punitive di sistema. Dunque unità "piccole, mobili, intelligenti" (Fripp) e creative vengono viste come una implicita minaccia destabilizzante. Sviluppare una strategia di sopravvivenza è una condizione quindi necessaria e indispensabile; per un qualsiasi vero artista , che per definizione è creativo tutto ciò diventa imperativo. Se, secondo questi presupposti, il malato e la sua malattia venissero tollerati, intercettati come istanze creative e non come forme o forze involutive o distruttive si attuerebbe in questo modo una rivoluzione senza precedenti. La psichiatria in questo modo perderebbe il suo significato autonomo, ambiguo, incomprensibile e il suo ruolo s’invertirebbe scambiandolo con quello della sua utenza, poiché sarebbe essa stessa malata (come in effetti lo è). Ma come può un sistema istituito per uno scopo negare se stesso insieme allo scopo?

In una società come la nostra viviamo perennemente legati a sistemi e strutture che formano attorno a noi una prigione dalla quale ci è impossibile fuggire. L’arte è pura evasione, salutare: porta verso la libertà.

L’arte viene anch’essa vista come una costante implicita minaccia per le strutture di sistema, che hanno solo coerenza di sistema ma non di verità. La legge li tutela. Si può allora dire certamente che legalità non sempre è sinonimo di giustizia. Se la prima è fatta per dettare norme che incentivano la normalità e scoraggino e/o reprimono l’anormale, la seconda può essere solo vista come appannaggio di un ipotetico tribunale presieduto da Dio. La Fede in questo caso potrebbe essere intercettata in modo coerente come una vera e propria malattia.

La legalità di per se stessa può essere invero percepita da un artista come una ingiusta punizione, imposta, senza aver commesso il fatto. In questo caso il reato (sic) è già stato acquisito come prova: "sfuggire" alla norma è già di per se condannabile. A questo punto possiamo stabilire due valori e significati diversi, ma correlati e compatibili fra loro, per il significato di legalità. Il primo, e il più ovvio, è quello che razionalmente, comprensibilmente, facilmente si può desumere ed acquisire da leggi, codici e regole varie. Il secondo è intuibile ma non espressamente circoscritto e/o definibile, deducibile da accadimenti non visibili al primo ma indotti dal sistema ottuso che non può, per l’espletamento della sua funzione che mirare al suo scopo. I "due significati" non si escludono ma si sostengono a vicenda. Di conseguenza diamo questo doppio significato a tutte le parole ambigue come: norma, normalità, dissenso, malato, sano, cura, terapia, emarginazione, ecc.

Documentario antipsichiatria "la vena d'oro" video 1

il cannocchiale

mercoledì 2 dicembre 2009

Biografico

Nacqui sotto il presagio di una cattiva stalla (sic). Mio padre si sposò con mia madre, ovviamente, come era usanza allora. Correvano voci per il paese (allora molto più piccolo e certamente ancor più s-pettegolo di adesso) che mio padre non sarebbe stato capace di assumersi il peso di una famiglia e il ruolo che gli competeva; ciò lo ha reso di certo ancora più indispettito e caparbio di carattere. Non per niente la razza annoverava componenti molto duri e decisi. Nel proprio ruolo di padre-marito-padrone, mio nonno, per esempio, non lesinava di bastonare mia nonna, anche per piccole sciocchezzuole. Tenace e risolutivo senza ripensamenti. Orbene, bisogna precisare che il periodo  storico in cui i promessi sposi stavano per fare il loro illecito passo (illecito poiché non si sono assunti l'onere di chiedere il parere ai figli che avrebbero da quel tristo evento dovuti  nascere) era quello in cui stava terminando la seconda guerra mondiale. Fame, miseria e stenti erano all'ordine del giorno. Quindi, mio padre forgiò il suo carattere in base alla nostra razza e alla necessità impellente del periodo storico. Si adattava a fare di tutto. Insomma mio padre cominciò ad essere stimato dai compaesani, stima che conservò.
Mia madre invece aveva un carattere complementare (fallimentare). Cercava di ammansire l'orco di mio padre. Era molto remissiva e cercava poi di sfogare altrimenti la sua repressione. "Ve lasce com'e pezzejende e me ne vajje!..." era la frase terribile che spesso rivolgeva a noi figli; io l'ultimo arrivato a mettere scompiglio nella casa, spaurito, mi ritrovavo così solo, abbandonato a me stesso, accovacciato, davanti casa, malaticcio, sotto il sole stordente, in atteggiamento meditabondo.  «Tu ce n'i cólepe!...» urlava mio padre contro mia madre, quando veniva a constatare che lei si adoprava di soppiatto a risollevare i propri figli dall'incubo del padre-padrone, sia moralmente che materialmente. Mio padre esigeva dai figli il dovuto: «Questa case ce chiame porte e chi ne porte reste fore da porte...» Crudele come la vita. Mi ricordo che abitavamo in quattro (mia madre, mio padre, mio fratello ed io) in un locale di 3,5 x 4 metri,
pressappoco. Non c'era pavimento e non c'era il bagno, ma soltanto un cesso (buco) con la mattonella sopra per i bisogni impellenti. Nel paese, le condutture per l'acqua ancora non c'erano e perciò veniva distribuita tramite gli acquaioli che provvedevano per il suo prelievo e il conseguente trasporto e distribuzione, dietro un modesto compenso. Il matrimonio non sembrava un matrimonio felice. Ma era una condizione normale... anche a
quei tempi.
   Mi rivedo, infante (3 - 4 anni), sopra un carro insieme a mio padre cercando di avere una risposta ai miei perché. «Papà!... ma 'u sole de San Martine è come quille de Portocannune?...» Stizzito, mi rispose malaccio e cercò  di farmi capire la mia idiozia.

    Spesso mi ammalavo, ero fragile di costituzione. All'età di sei anni (facevo la prima elementare) finii in ospedale per quaranta giorni circa, a causa della vaccinazione  scolastica. Ritornato a scuola, il maestro Ciambrone mi chiedeva cosa avessi mai avuto. Non sapevo cosa dirgli, quale fosse la malattia per cui ero stato ricoverato. Meningite, encefalite a quanto pare. Ero sempre introverso; agli occhi altrui avrei dato certamente l'immagine della tristezza personificata. Una ragazza delle elementari, più o meno della mia stessa età, mi chiese una volta (disinvolta) «ma tu perché piangi sempre?... » Io non piangevo mica. Quello era il mio aspetto ordinario: taciturno e triste. Provai amarezza e vergogna... perché era l'unica faccia che avevo e non potevo
mica cambiarla come fosse un vestito.
   Mi ritrovo così alla terza elementare, imbastito con l'abito della prima comunione... suor Matilde tuonava con voce altisonante, minacciando l'inferno per coloro che non hanno timor di Dio. Le minacce non erano solo paterne ma anche divine, adesso. Un aneddoto curioso e divertente mi capitò alla prima confessione. Il confessore mi poneva delle domande: «hai fatto questo?... » Ed io un po' vergognoso, timidamente rispondevo (cercando involontariamente e no di sminuire) «a volte si e a volte no!...» Notavo l'imbarazzo del prete ma non riuscivo a capirne il perché. Cercava di farmi rispondere in maniera più consona e netta: «si o no?» Ma io ad ogni domanda del «Hai fatto questo?...» Rispondevo sempre «A
volte si e a volte no...
» Comunque la prima e l'ultima comunione mi venne acconsentita.