sabato 26 gennaio 2013

Sacro patto clientelare per l'interdizione

Promesse... dismesse.
In merito alla sacralità del patto clientelare, onde rilevare quanto radicato sia questo squallido pregiudizio, o dogma che dir si voglia, fornirò come evidenza il bilancio (in rosso) della mia condizione attuale in cui mi sono venuto a trovare proprio a causa di esso.
  1. Circa due anni fà, mi ritrovo a (s)possedere, dopo la morte di mia madre, una casa (praticamente più che inutile per le mie esigenze), della quale non posso vendere nemmeno la mia quota ereditaria. Coincidenza?... o cos'altro?...
  2. 13-14 mesi fà, sono stati mandati ad hoc dei cacciatori per sparare (a scopo intimidatorio, presumo) in direzione della casetta-porcile dove dimoravo... Già prima dell'evento mi era stato intimato di ritornare in paese con le buone...
    Coincidenza?... o cos'altro?...
  3. Un paio di mesi più tardi (a febbraio) mi arriva in campagna il maresciacallo che porta la lieta notizia del tentativo interdittorio, alquanto sospetto, da parte di mia sorella; all'uopo intervennero tre donzellette inviate dal reparto termolese, di cui una psichiatra, che avrebbero dovuto constatare la salute psichica del sottoscritto.
    Coincidenza?... o cos'altro?...
  4. Mi viene proibito, in modo alquanto ambiguo l'installazione di pannelli  fotovoltaici in campagna che non avrebbero comportato nessuna modifica strutturale. Figuriamoci!... uno sgabuzzino!
    Coincidenza?... o cos'altro?...
  5. Considerati i precedenti e prevedendo, di conseguenza, un più che probabile sfratto, decisi di aquistare una roulotte, in modo tale che, comunque andasse a finire la faccenda, un rifugio per il sottoscritto rimaneva comunque, e per di più mobile... Anche questa possibilità mi viene negata, come spiegato altrove.
    Coincidenza?... o cos'altro?...
  6. Sono stato da due giorni buttato fuori dalla casetta-sgabuzzino-porcile di Mario Totaro, il cui utilizzo era per me quasi vitale. In pieno inverno!...
    Coincidenza?... o cos'altro?...
Questo è solo un minimo elenco delle coincendenze, quelle più grossolane, diciamo. Da ciò è facile dedurre che esiste di fatto un processo interdittorio, solo in minima parte dovuto a mia sorella. Non sbaglio certamente a valutare se dico che vi sono implicati: la famiglia (fratello, sorella, cugini, ecc...), l'ambiente e i suoi costituenti più o meno principali (comunali, caserma, gentaglia, ecc...) e soprattutto quel deus ex machina che è la psichiatria. Non male come complotto.

Hanno deciso che io dovessi ritornare alla casa situata in paese. E infatti dopo due anni mi ritrovo adesso proprio nella casa al centro del mio adorato paese... Sono interdetto di fatto e su questo non ci piove. La cosa non finirà qui, dato che sotto sotto covano ancora altri progetti invalidanti ai miei danni (definiti però "per il mio bene"). Questo è certo, è vangelo. Simili  attenzioni ossessive verso il divergente, dimostrano chiaramente che la follia (già di per sé opinabile) è molto comune nella normalità più che nei singoli individui.

Sono perfettamente capace di intendere e di volere, naturalmente, ma senza possibilità di giungere alla realizzazzione di ciò che voglio, in quanto la mia volontà viene negata, bypassata. L'erba voglio cresce solo nel giardino clientelare del re. È geniale, solo la psichiatria poteva concepirla: l'interdizione lo è di fatto, ma non lo è legalmente. Non si può fare appiglio a nessun ricorso o impugnazione, in quanto non vi sono documenti o prove che l'attestino. Questo è un ottimo esempio dell'evidenza del sistema mafioso sociale. La società è mafia, c'è poco da fare.

Come si può vivere quando sai che tutta la tua vita è stata già progettata a tavolino, in barba alla capacità d'intendere e di volere?... Semplicemente: non si vive: si sopravvive. Nino ne morì. Credo per i troppi legami (a filo doppio) affettivi e amicali. Io sopravvivo grazie alla mia a-socialità alla mia a-tuttaggine, alla mia inimicizia... Anche se morire non è il male peggiore, a conti fatti. La cosa inquientante è che il progetto a tavolino di cui sopra sembra essere di durata pluriennale, decennale addiritura, o anche duraturo quanto l'intera vita.

A tale negazione della volontà individuale viene man mano, di pari passo, attuato il  progetto sostitutivo, costituito anche e soprattutto di situazioni concrete create appositamente, ovvero: si crea realtà dal nulla. L'individuo non si troverà quasi mai in una situazione casuale, ma in una situazione-condizione causata ad hoc. Per una persona sensibile ciò può essere a volte letale (vedi Nino), in quanto l'individuo, per quanto buone siano le intenzioni, non riesce più a percepire la realtà (diventata ormai virtuale) se non come progettualità altrui, proiezione persecutoria di sistema nei suoi confronti, e come negazione della propria esperienza soggettiva.  Questa demenza persecutoria la si ritrova dappertutto: in famiglia, nell'ambiente, nelle istituzioni... Insieme al double bind che ne deriva, rappresenta il processo principe per sopprimere "chi è voce al presente": non si vive ma si è vissuti.

venerdì 25 gennaio 2013

Dario un poeta?... divertente?... ah ah ah!...

  Leggo su Primapaginamolise.it : "Dario D'Adderio un poeta divertente". Minchia! Articolo datato... ma sgombriamo il campo da equivoci, per carità!... Vabbè, se ne dicono di tutti i colori; non mi stupisco più di tanto... "Divertente" nel senso di intrattenitore - badate bene - affabulatore, fingitore... Ben lungi dal divertere uscire dal solco... Lo so che tocco un luogo sacro comune, ma io da poeta ho il dovere etico di denunciare un simile abuso di linguaggio, di svelare l'arcano, di rimettere a posto la teminologia fuorviante... dare alle parole il loro giusto peso. Ho l'obbligo di svergognare un tale che si veste (o lo vestono) di panni altrui. A parte i disturbi gastro-intestinali suscitati dalla sola presenza, al solo levissimo sentore in lontananza... Cos'è la poesia, prima di tutto?... Non è un opinione e tutt'altro che divertimento-intrattenimento; semplicemente non è: non appartiene all'esser-ci, al sociale, al mondano, al colloquiale, ecc... Citando il vate per antonomasia (chi meglio di lui potrebbe non-definirla):
Poesia è distacco, lontananza, assenza, separatezza, malattia, delirio, suono, e, soprattutto, urgenza, vita, sofferenza (non necessariamente cristiana). È flusso dell'insofferenza d'esserci. È scontento, anche nei casi più "felici". È risuonar del dire oltre il concetto. È intervallo musicale d'altezza, lirico, in che si dice detta la delusione di quell'altro intervallo (distanza) tra il "pensato" e il riporto sulla pagina. È l'abisso che scinde orale e scritto. Poesia è distacco, lontananza, assenza, separatezza, malattia, delirio, suono, e, soprattutto, urgenza, vita, sofferenza (non necessariamente cristiana). È flusso dell'insofferenza d'esserci. È scontento, anche nei casi più "felici". È risuonar del dire oltre il concetto. È intervallo musicale d'altezza, lirico, in che si dice detta la delusione di quell'altro intervallo (distanza) tra il "pensato" e il riporto sulla pagina. È l'abisso che scinde orale e scritto. (C.B.)
   Ma cosa ha Dario D'Adderio di tutto ciò?... Niente, assolutamente niente. Perciò se ne parla.  La poesia è una cosa (indiscutibile oltre che incomprensibile anche laddove sembra scontata esserlo), Dario è tutt'altro. Non è compreso nella ristretta cerchia dei beneficiari del dono concesso dalle Muse, ovvero coloro che ormai cantano solo parole incomprensibili.
  Io, in quanto non io (assente), sono "degrato a poeta". Che c'entra Dario con la poesia?... La crocetta estetica! ahi ahi!... "Ne sende cchiù senà a cambane d'u matetine!..." Ma dai!... [Se poi si verifica che ognuno pensa positivamente ai cazzi suoi, altro che ricordar passato!]. È un intesa inter nos, troppo troppo accomodante. Questo menestrello menfregante non rischia nulla, dà in pasto alla gente quello che la gente vuole che gli sia dato (un autoinganno reciproco). Non rischia la pelle, come un vero poeta. Uno per tutti, vedi Dino Campana. Oppure, il bistrattato più prossimo a voi (ma lontano anni luce): Carlo Giordano.
   Non è che sia sbagliato o condannabile di per sé, ma non c'entra niente con l'arte e la poesia. L'arte è un salto nel "buio musicale" di che "s'acceca la voce", direbbe C.B.  Il dialetto, l'ho compreso anch'io, allorché mi accinsi a sviluppare analiticamente una grammatica del sanmatinese, senza nessuna smania di insegnare, per carità!, ma con il solo scopo di imparare: allievo di me stesso e basta. Scrivendo in dialetto, va da sé, si viene dirottati verso il popolare, il già detto. Io scrivo, musico, ciò che sente, che vive la gente. La  stessa struttura e storia della forma dialettale, intimamente legata al contenuto (significante prossimo al significato), porta nient'altro che a questo. Questo riporto sulla pagina o sullo spartito potrebbe essere avallato da Machado in modo veramente poetico e illuminante...
Chitarra di taverna che ora suoni
jota, ora petenera,
come gira a chi tocca
le corde impolverate.
Chitarra di taverna dei cammini
non fosti mai, né sarai, poeta.
   Dario fà l'intrattenitore, il divertentitore, da sempre... Per me, figurarsi, è tutt'altro che divertente... Costui celebra un passato morto e sepolto da per sempre, mai stato presente a sé stesso - figuriamoci! Riesuma cadaveri, li imbelleta qua e là, mestiere - questo del becchino - che gli si addice più che quello di poeta a cui è negato decisamente e a cui si nega. La porta è li sempre aperta, ma lui non vi entra e mai vi entrerà, nemmeno in sogno, poiché deve rendere conto al suo sollazzato pubblico, a una coscienza civile e sopratutto alla coscienza tout court, di cui è una mera derivazione; non può sporcarsi di una simile eresia. Questo passato passatista, questa puzza di cadaverina, ahi ahi!... Nessun de vu me scolta!
   Perché regna questo squallore democratico  dove ognuno ha il diritto d'esprimersi e di essere considerato poeta, artista? Anche Mario Totaro! Dio mio! Non c'è più religione! Spero sia un omonimo... Questa si chiama cultura: "l'arte di seppellire i vivi". Appena un tale entra nella smaniosa fregola di esprimersi, di colpo paffete! viene riconosciuto poeta, artista, a furor di popolo. Eliminando così il rischio della poesia. Prevenzione prevenzione, soprattutto!...  Guai ai vivi!...
   Caro Dario, anzi Diario, dato che non posso dialogare, ma solo cantare parole incomprensibili, mi viene detto da chissà cosa chissà come chissà quando chissà che... non so, non so che mi spiegare... Non è mai esistito un dialogo, nemmeno con sé stessi. Il dialetto supera il divario tra dialogo e monolgo, basta a sé stesso, non abbisogna di spiegazioni e di un metalinguaggio atto a definirlo. Ma il dialetto ha fatto il suo corso, non esiste più in quanto è sparita la civiltà contadina che lo teneva desto. Non può esistere nemmeno un rimpianto registrabile che si adegui ad hoc a ciò che non fu mai. La volta in cui finisce nelle mani del menestrello che ne canta le gesta, finisce anche la ventura del dialetto, schivo per sua stessa natura alla rappresentazione.

Arriva sempre il giorno, possibilmente prima del giudizio universale, in cui si deve rendere conto del proprio operato. A chi a cosa?... al nulla, al nada di San Juan de la Cruz. Dario un poeta?... divertente?... Non so se ridere o preoccuparmi, non so, non so... e si trattasse solo di insipienza. Purtroppo, il sapere agonizza nella bocca dell'enfiato spastico deliquio... Vae vivis!... Non contate su di me. Dis-fate questo smemorati di me... e di voi stessi soprattutto che vivete nella commemorativa quotidiana merda dei convenevoli, degli intrallazzi convenuti, dei circoli viziosi e viziati culturali, colonizzati dallo squallore e dalla volontà più becera, ancor più se sotto la dantesca infernata insegna di una bandiera politica, mai sfiorati dal dubbio di dis-fare, disfarsi, soprattutto di sé stessi, della missione civile... essere finalmente dimissionari a tempo pieno, di tutto e di tutti. Sono postumo, differito non sono per voi.

giovedì 24 gennaio 2013

In principio era il verbo "clientelare"

 Il clientelismo ha sempre ragione
(Carlo Giordano)

Da Wikipedia leggiamo che :
La pratica del clientelismo tende a garantire il reciproco interesse o il mutuo vantaggio tra chi fornisce i benefici e chi ne ottiene il contraccambio.
E su questo non ci piove. Tale pratica inoltre 
... è finalizzata spesso, da parte di chi se ne avvantaggia, al mantenimento, con scopi lontani dal bene collettivo e dall'interesse stesso della società civile (ragion per cui assume le forme di un vero malcostume), di un posto di potere assegnato dalla carica pubblica. L'assegnatore può occupare a sua volta la posizione di potere per effetto di simili pratiche indebite, ed è indotto a perpetuare il sistema nominando individui conosciuti che non tenteranno ad indebolirne la posizione.
Certemente questo è un'aspetto prominente del clientelismo... Continuando a leggere su Wikipedia...
 Il clientelismo si distingue dal familismo per l'attuazione di un complesso di favoritismi e protezioni limitatamente ad una cerchia familiare o in qualche modo confinata ai rapporti di parentela.
  Per esperienza so che le cose sono molto più dilatate o almeno diversamente caratterizzate rispetto a queste definizioni sintetiche date da Wikipedia. Lo so per esperienza, poiché quello che subisco io sulla mia pelle è una forma di patto clientelare tra cliente e patrono, tutt'altro che avente scopi lontani dal bene collettivo e dall'interesse stesso della società civile, anzi,  ne è proprio il suo fondamento. Diciamo che il malcostume del clientelismo-familismo poggia su questo patto clientelare-familiare riconosciuto e accettato, senza discussione, da tutti i costituenti del consorzio societario, il quale trova in esso le sue radici più profonde e la coesione soprattutto; detto altrimenti,  risulterebbe inconcepibile una società senza questo patto fondante che per definizione è paritario: cliente e patrono hanno la stessa posisizione e responsabilità nel far rispettare le sue norme codificate dalla consuetudine (sic): una forma di tradizione più o meno locale a cui ci si sente legati come a un dogma che viene percepito, sia dal cliente che dal patrono, come una legge naturale, come un modo istintivo di porsi, di stampo quasi religioso (o anche mafioso, se vogliamo, per un possibile osservatore esterno).
  Il clientelismo e il familismo tout court germinano da questo sistema profondo di patto clientelare e spesso non se ne distinguono, facendone un tutt'uno con esso e, quindi, stabilire se ciò sia o no un bene collettivo o se ne favorisca o meno l'interesse della società civile è, più che altro, ozioso e tautologico, dato che questo deus ex machina affonda le sue radici profonde proprio nell'intera società civile, la quale lo accetta ciecamente e ne accondiscende il volere. Fiat semper voluntas sua. Il sistema clientelare è, a conti fatti, una vera deità, nella fattispecie potremmo ben definirlo nume tutelare. Da ciò si evince il fatto che risulterebbe alquanto incauto e rischioso criticare un siffatto sistema; provocarlo o infierirvi addirittura contro, può diventare letale, imperniato com'è su una (mica poi tanto) dissimulata religiosità. Scherza coi fanti ma lascia stare i santi. Il sacro patto clientelare rappresenta di fatto l'humus primordiale da cui germina qualsiasi forma di sistema mafioso.

domenica 20 gennaio 2013

Il lavoro: "questo diletto cardine del mondo"

Il lavoro è una cosa, il posto di lavoro è un altra cosa.  Per lo stato civico, sociale o Stato con la A maiuscola, quando non si è soggetti al posto di lavoro, si viene etichettati disoccupati. Disoccupati di che? da cosa?... Ci si deve sempre occupare di qualcosa, soprattutto quando questo qualcosa diventa impellente occupandosi di te, allorché si rientra nello stato di dis-grazia per necessaria e inderogabile sopravvivenza. Urge l'occuparsene! Altro che disoccupati! Se poi qualcuno fosse così cortese di occuparsi dei cazzi suoi, invece che di quelli altrui già abbastanza occupati da impellenti esigenze, gioverebbe di certo alla sopravvivenza di coloro a cui si è tanto interessati, "per il loro bene"... Quando  qualcuno s'interessa di te, mostrandosi comprensivo, suadente, dolce, sta pur sicuro, che lo fà per interesse (non per forza economico). Ci si interessa dell'altro, in quanto si è interessati. E qui il termine interesse, usato quasi come sinonimo di altruismo, cade a fagiolo. Qualcuno dice da qualche parte giustamente: "se sapessi che qualcuno stesse arrivando a casa mia con il deliberato proposito di farmi del bene, scapperei a gambe levate". Parole sagge, sante!... "Non cerco comprensione" (C.B.). L'artista, il poeta, ha bisogno come l'aria di "essere trascurato". Altro che incomprensione o la finta comprensione a mo' di infiorettata camicina di forza atta al reinserimento nel sociale del miserabile, a cui si dedicano queste ragnatelose cure particolari. Così facendo lo si in-cura, magari internandolo in una casa di cura. E non c'è verso di far loro capire che noi dell'arte non si fà parte del socialistico (im)mondo dello "squallido posto di lavoro". Meglio la morte. E qui, non gioco con le parole, badate. La morte per noi artisti, da che mondo è mondo, è sempre stata nostra fida compagna, incompatibile con lo squallore lavoristico, che sia sollazzato o meno, poco importa. Ve l'immaginate: un artista disoccupato!... Ma l'artista non è mai disoccupato, fà sempre l'artista, la sua in-attività, a tempo pieno. Figuriamoci poi se indotto in una condizione di sopravvivenza. L'artista non è un (posto di) lavoro, ma il lavoro stesso: il suo "lavorio". Il suo DNA. Sulla scorta di quanto predicato già da Nietzsche, un artista di genio - Carmelo Bene confirma et docet - è un "capolavoro vivente".  "Basta con le opere d'arte! Bisogna diventare dei capolavori... viventi."
La vita fiorisce col lavoro, vecchia verità: ma la vita che è mia non è abbastanza pesante, spicca il volo ed aleggia lontano sopra l'azione, questo diletto cardine del mondo.  (J.A. Rimbaud)
   Che sens'azione, nevvero?... La vita non è pesante quanto il lavoro, perciò vola leggera senza la zavorra di piombo alle caviglie. Volendo disfarsene, questo nodo gordiano lo si risolve "alla macedone", semplicemente tagliandosi i piedi, ormai inutili per il troppo peso-bene sopportato... e si vola... Chacun porte sa coix, moi je porte une plume.
   Non vi è contraddizione. L'enfant de colère non abbandonò mai l'arte, diventò semplicemente un "capolavoro vivente". E poco importa se avesse scelto di continuare a estenuarsi nella produzione di opere che, in quanto tali, sono sempre "residuali". Cosa poteva aggiungere ancora alla sua opera? Un bel niente. Ha scelto il lavoro, o, meglio, ha continuato a fare l'Artista (con la A maiuscola!), a prodursi e farsi produrre dal suo eterno lavorio. Lascia la "palude occidentale" comprendendo appieno con estrema lucidità che l'arte è borghese, occidentale. E non vi è alcuna possibilità di riscatto. Tutto è strutturato e corredato funebramente fin nei minimi particolari onde sfavorire, reprimere, disincentivare lo spirito artistico, soprattutto laddove l'artista viene insignito-imbalsamato meritatocramente,  dato in pasto alla plebaglia, reso pubblico a mo' di vespasiano, posto nel simulacro cimiteriale, o nel fascino mortuario delle museali cere. Che sia famoso, purché non nuoccia. Morto. Per sempre. Questo è ciò che chiamiamo cultura: l'arte di seppellire i vivi. Basta con l'instabilità. Basta con la vita! Due facce della stessa medaglia: prima il miserabile in quanto tale lo si disprezza perché non tollerabile e poi lo si tollera deprezzandolo con le dovute attenzioni. Rimbaud ha capito perfettamente questo meccanismo societario imbalsamatorio le cui basi poggiano sulla norma(lità) e dunque sullo status quo dell'immutabile. Il fatto di avere abbandonato la poesia - lui così giovane, mutevole e indefinibile nella sua fisionomia -  può sembrare apparentemente una sconfitta ma, se vogliamo usare questo fastidioso dualismo, in effetti è stata una vittoria tra le righe su tutti i fronti. Per inciso diciamo che non si può né vincere né perdere, in quanto si è giocati e non si è giocatori. Siamo il gioco, la posta in palio, vinta o persa. Ci siamo persi, ecco tutto. Addio, a mai più ritrovar-ci. Finalmente! "Bellezza straziante del creato!" Nemmeno negli ultimi anni della sua vita, allorché la sua opera cominciò ad avere successo, Rimbaud si redime da questo suo "peccato originale". Il figliol prodigo (un vero prodigio!), l'homme aux semmelles de vent (P. Verlaine) ha sempre evitato accuratamente di rientrare nelle grazie del padre-madrepatria, di rientrare nel rango dei becchini addetti alla cultura. In questo caso, due più due fà veramente quattro. Non è immotivata la sua rinuncia estrema. Rimbaud rifiuta l'arte in quanto espressione tout court e soprattutto aggettivabile come borghese. Sceglie l'Africa o è stato scelto dall'Africa, poco importa il senso della direzione di quest'obbligo dovuto, perché è un luogo abbastanza lontano (lontanissimo sottoterra) e sufficientemente inesplorato, ancora non pienamente predata dalla grassa borghesia occidentale. Rimbaud ha giocato di anticipo allorché ha la visione di questa apertura verso l'Africa (poco importa ripeto se sia reale o meno, se prevedibile) scrivendo nelle sue Illuminations:
 Penso a una Guerra di diritto o di forza, di logica del tutto imprevista
Cosa sia questa Guerra con la G maiuscola, lo spiega sibillinamente nella frase che segue subito dopo:
È semplice come una frase musicale
Ma cosa c'è di più semplice della poesia, più musicale dell'incomprensibile? L'incomprensibile è ciò che si comprende meglio; detto più esaustivamente: l'incomprensibile è ciò che ci comprende... allorché la logica vien meno nella sua imprevedibilità.  Si diventa imprevedibili. E tutto si illumina. Questa è la (sua) Guerra di diritto o di forza, in quanto diritto e forza sono equipollenti, non vivono un rapporto falsato di antagonismo. E qui Rimbaud, geniale, conferma le premesse e le promesse a-scritte nella Lettre du Voyant, diventando veggente, prevedendo nessun futuro ma solo l'eterno imprevedibile presente.
Fanciullo, certi cieli hanno affinato la mia ottica; tutti i caratteri sfumarono la mia fisionomia. Si sommossero i fenomeni. - Ora, l'eterna inflessione dei momenti e l'infinito della matematica mi cacciano per questo mondo ove subisco tutti i successi civili, rispettato dall'infanzia strana e dagli affetti enormi. Penso a una Guerra di diritto o di forza, di logica del tutto imprevista.
   E semplice come una frase musicale.
Rimbaud ormai è sfigurato fisionomicamente, da questo auto-attentato terroristico, perfettamente riuscito, perpetrato ai danni - finalmente! - della sua immagine che non lo riflette più. Tra le miriadi schegge impazzite dello specchio in frantumi sarebbe vano cercare di vedervi frammenti di identità.  Il poeta diventa non più individuabile, canonizzabile, e non certo perché se n'è andato in un'area geografica così lontana chiamata Africa, ma perchè se ne andato via per sempre, da vivo. "Sono veramente dell'oltretomba e niente commissioni".

venerdì 18 gennaio 2013

Corriere & corriere

- Ciao, sono il corriere SDA. Senti io non conosco l'indirizzo della tua casa, se puoi venire tu vicino al distributore di benzina a ritirare il pacco, mi fai un grande piacere.
Ed io fesso fesso risposi alla gentile cortesia... attribuendomi così parte del suo lavoro:
- Certo, per così poco!... 30 metri di distanza, in effetti. Ma anche fossero 10 e, ad ogni modo, qualsiasi distanza non smentirebbe il fatto che io resti comunque trattato da cretino! Il ragazzo sembrava tutt'altro che uno scansafatiche. E la cosa lasciava subodorare qualche faccenduola poco chiara...

Pochi giorni dopo, per un'ennesima spedizione, lo stesso giovane corriere, ancora una volta, sembra trovarsi nella stessa situazione smarrita precedente (poveraccio!), sperduto in questa megalopoli sanmartinese e, ovviamente, non sapendo dove cavolo andare. Infatti, i segnali e i nomi delle strade sono equivoci, i numeri civici sono stati alterati da qualche burlone o farabutto. Via Carmine Troilo.. uhm... è a due passi... a due passi dal luogo dell'appuntamorto stabilito. Ormai sono abituato a non abituarmicisi... Adesso c'è una lieve modifica, tutt'altro che insignificante. Non vicino la benzina, bensì di fronte la Banca il punto morto dell'appuntamento. Guarda caso, proprio dirimpetto alla Banca Adriatica c'è l'ufficio del signor P. che gestisce le autolinee Langiano. È per caso un fortuito caso?... Nient'affatto. Ho intuito da subito (già dalla prima volta che ebbi modo di incontrare, malauguratamente devo dire, questo giovane) che qualcosa non andava, considerata la mia plurima aggravata esperienza passata. Il signor 7x5, capitano congedato, mai destituito dal suo rango (adesso civile) e dal suo compito di mettere in riga, era seriamente preoccupato di non vedermi più elemosinare da lui qualche consiglio o altro. Molto voyoeuristicamente cercava di guardare, lui o chi per lui, l'individuo, il sottoscritto, che si palesava davanti al bancomatt piuttosto comprensibilmente seccato. Uno strano movimento si vedeva dietro la vetrata. Mah!...

Lo stesso fatto si ripete subito dopo, un'altra volta, copione già scritto e riscritto. Sono più che nauseato da quest'annosa situazione, creata però anche da me che accondiscendo sempre a queste ser-vili cortesie. Il giovanotto questa volta, considerata la mia fessaggine, osa anche dirmi in modo apparentemente scollegato dalla situazione: "sai io pensavo che tu eri a lavorare... " Ma se non ci conosciamo nemmeno, ragazzo! Mi conosceva eccome, almeno di fama, tramite il signor 7x5, questo sì, che probabilmente consiglia (obbliga) questo insano pensiero al giovane.


Lo scriverei anche qui su questo blog, come lettera aperta, ciò che avrei da dire al bel signore che gestisce le autolinee, vale a dire di non rompermi più i coglioni. Ma sarebbe tempo perso. Lui ha una missione da compiere nei miei confronti e finché non l'ha militarmente eseguita a dovere, non ha pace, ancor più se avallata dall'assunto circolante nella sua capa tosta, ma vuota, del "Deus le volt".

Divergenza - bilancio

 L'arte come esperienza extra-ordinaria che nel normale diventa ordinaria follia

  Il bilancio di questi miei oltre 10 anni di silenzio, evitando una mera valutazione di carattere valoriale (positivo-negativo) mi dà la possibilità di poter dire di aver espresso una verità lapalissiana eterna.
Giunto è già ’l corso della vita mia,
con tempestoso mar, per fragil barca,
al comun porto, ov’a render si varca
conto e ragion d’ogni opra trista e pia.
Onde l’affettüosa fantasia
che l’arte mi fece idol e monarca
conosco or ben com’era d’error carca
e quel c’a mal suo grado ogn’uom desia...

 Michelangelo Buonarroti

  Eterna, che brutta parola! Sia aggettivata che sostantivata. Ma nella realtà dei fatti, la società, come già sufficientemente spiegato, è rimasta appunto "da per sempre" in un rapporto divergente verso il diverso. Questa è l'eternità del dilemma, insolubile, poicché il sistema per funzionare deve reprimere la divergenza, annullarla, ecc...
  Si tratterebbe della "politica dell'esperienza" che il sistema societario cerca di gestire a proprio vantaggio, annullandone l'unicità del fenomeno, dando a tutti la stessa categoria di appartenenza.
  Un modo per non ri-conoscerci come "esperienza" a dispetto della propaganda marzulliana mezzassonnata di "un modo per capire, per capirsi..."
   Io non posso fare esperienza della tua esperienza. Tu non puoi fare esperienza della mia esperienza. Siamo entrambi persone invisibili. Ogni uomo è invisibile all'altro. Esperienza questa che si è soliti chiamare Anima. L'esperienza come invisibilità dell'uomo per l'uomo è allo stesso tempo più evidente di ogni altra cosa. Solo l'esperienza è evidente. L'esperienza è la sola evidenza [...]
   Anche i fatti diventano fantasie senza modi appropriati di vedere "i fatti". Non abbiamo bisogno di così tante teorie ma piuttosto dell'esperienza che è la fonte della teoria. Noi non restiamo soddisfatti con la fede, nel senso di un'ipotesi ritenuta irrazionalmente non plausibile: chiediamo di fare esperienza dell'"evidenza". Noi vediamo il comportamento delle altre persone, ma non la loro esperienza. Ciò ha portato alcuni a ritenere che la psicologia non ha niente a che fare con l'esperienza dell'altra persona, ma solo con il suo comportamento. Il comportamento dell'altra persona è una delle mie esperienze. Il mio comportamento è un'esperienza dell'altro...
(R.D. Laing, La politica dell'esperienza)
  Intanto si bypassa il problema dell'unicità dell'esperienza confondendola a bella posta con la scorza esteriore del comportamento, credendo in tal modo di dare visibiltà al non visibile, di dare per scontato ciò che non lo è affatto: questo è ciò che si potrebbe definire etichettamento: imbalsamazione da vivi, sepoltura prematura. Si seppelliscono i vivi per riesumare i morti. La vita non è mai scontata se non la sua pena.


martedì 15 gennaio 2013

Prima legge della psichica: tutto si crea e tutto si distrugge

  Volumi e volumi, libri su libri, ma non siamo mai liberi di preservare la nostra salute. Ci sono enti creati appositamente per questo. La sua tutela viene dall' alto e la manna-ia cur-attiva scende dal cielo dove risiedono gli dei dell'Olimpo Medico Soccorrevole (OMS). Vedete come è facile creare dal nulla un ente. Basta volerlo, purché vi sia opportunità di guadagno. La falsa scienza, come quella incentivata dalle industrie, segue il motto "tutto si crea e tutto si distrugge". Insomma: fanno il cazzo del comodo loro. E noi, pollame della miseria, razzoliamo per un po' democrazia, ci arrabattiamo per la libertà, rivendicando alla politica il ruolo istituzionale per ottenerle.
   Leggo su Il Fatto quotidiano [1] che il Dsm (Diagnostic and statistical manual of mental disorders) [...], la bibbia degli psichiatri, , molto spudoratamente, è stato modificato "abbassando la soglia della malattia. Il che significa che molte più persone potrebbero essere considerate ‘malate’ e vedersi somministrare psicofarmaci: scatti d’ira, il dolore da lutto, le dimenticanze tipiche dell’età e mangiare in modo eccessivo potranno infatti essere considerati più facilmente sintomi o malattie mentali".
   Non è una novità. Pensiamo per es. all'ADHD e alla sua fin troppo abusata diagnosi. Su Wikipedia si legge che "il disturbo da deficit d'attenzione ed iperattività (ADHD) è un disturbo del comportamento caratterizzato da inattenzione, impulsività e iperattività motoria che rende difficoltoso e in alcuni casi impedisce il normale sviluppo e integrazione sociale dei bambini". È facile capire come possa essere sfruttata appieno questa definizione, ampiamente interpretabile clinicamente e diagnosticamente. Una volta creata la definizione, si crea dal nulla la malattia. Sei iperattivo, disattento? Allora abbiamo, noi industriosi farmaceutici, questa magnifica pilloletta che ti rimetterà a posto. Una pillola per tirarti giù (l'etichettamento) e una per tirarti su (la terapia). Sono qualità queste dell'iperattività e della disattenzione tipicamente umane, perché mai si deve ricorrere al farmaco appositamente studiato.
Non può essere forse un problema da risolvere psicologicamente?... Sarebbe anche più costoso, in quest'ultima ipotesi, considerate le parcelle degli analisti. Si obietterà che l'ADHD sia riconosciuta come malattia solo in alcuni casi evidenti, non altrimenti spiegabili. L'uso proprio, avallato e certificato dal DSM,  connesso ai referenti contenuti nel manuale medico, sempre più modificato e allargato da nuove invenzioni scoperte, ne giustifica la deontologia professionale. Siamo nel massimo della merda. E l'abuso, dove lo mettiamo?... L'abuso prima di tutto inizia con l'invenzione della malattia, prosegue con la diagnosi e la terapia specifica. È banale, è ovvio, lo so, ma la terapia è di fatto falsa in quanto si basa su una diagnosi di una malattia creata ad hoc.  L'ADHD non esisteva prima. Quindi due sono le cose o la si è scoperta o la si è inventata, cosa molto più verosimile. La società cambia molto nel tempo e produce "disturbi" adeguati secondo questi cambiamenti indotti. La popolazione mondiale aumenta sempre più, lo spazio vitale per gli individui diminuisce di conseguenza. Aggiungiamo l'inquinamento da smog, quello da rumore, ecc... Il mondo diventa sempre più invivibile e disturbato, senza regole rispettate e chi ne trae giovamento è l'industria dei farmaci che promette dovunque e comunque soluzioni magiche con la sua bacchetta magica a qualsiasi problema rilevato. È la magia che dal nulla crea, o, meglio interpreta la realtà a suo vantaggio. Invece di criticare, curare, riparare il sistema, ci si accanisce a trovare inghippi, magagne, nei suoi costituenti: le persone.
Anche in campo non prettamente psichiatrico, l'industria farmaceutica fà il suo bel lavoro, abbassando la soglia minima dei valori pressori o quella relativi all'insulina per il diabete, del colesterolo... Beh, non c'è che dire si danno un gran da fare. Da un giorno all'altro chi non era considerato malato, di colpo viene ad esserlo. Leggo anche su disinformazione.it in merito all'ipertensione che...
La definizione di pressione sanguigna alta [ipertensione], si è di molto allargata nel 2003, in modo da permettere alle case farmaceutiche di poter vendere farmaci pieni zeppi di effetti collaterali ad un buon 45.000.000 di persone in più. Dato che il Joint National Committee on Prevention, Detection, Evaluation and Treatment of High Blood Pressure – all’interno di un gigantesco giro di collusione con l’industria farmaceutica – ha deciso che dei valori di fatto relativamente bassi di pressione sanguigna erano diventati dei fattori di rischio cardiaco, di colpo – milioni di persone ed altri milioni a venire – si sono ritrovate etichettate come anormali e bisognose di trattamento per una diagnosi che non sarebbe mai esistita se quel comitato scientifico non si fosse mai riunito. (disinformazione.it )

   Tralasciando i casi specifici di vera disfunzione organica (percentuale irrisoria) dovuti ad effettiva malattia (e anche qui ci sarebbero dei distinguo da fare) e facendo riferimento a un discorso generale, possiamo dire che la psichiatria, senza possibilità di essere smentiti, crea malattie dal nulla, o, meglio, dagli umori, dall'istintività, dai rapporti interpersonali, s'intrufola dappertutto e in tutto ciò che riguarda la libertà emotiva delle persone. Addirittura adesso si avventura nel teatro del mondo, creando copioni di drammi, crea realtà. Ma questo è un discorso che andrebbe definito e valutato a parte. I panni sporchi si lavano in piazza, o meglio, in quel ricettacolo di sozzura ideologica e sistematica che è la psichiatria. Mai sognasse di dichiarare che ciò che non va è rintracciabile nel sistema che la tiene in piedi. Nessuno sputa nel piatto in cui mangia e vi mangia piuttosto bene direi, considerati gli introiti da capogiro. Il DSM è una vera porcheria. Parliamo di democrazia, di libertà, ma costoro che gestiscono questo squallido sistema speculativo sulla pelle della gente, non chiede permesso a nessuno, né procede in nome di questi valori illuminati, facendo leva sul fatto che la scienza non è comprensibile ai più. Ma quanti sono numericamente fra gli adepti professionisti in medicina consci veramente del sistema di sfruttamento della salute?... e quanti invece sono formattati all'obbedienza della regola monastica del convento?... La consapevolezza è una dote alquanto rara già nei laureandi, ma che per lo più svanisce allorché si entra nel tran tran del mondo del lavoro. Da allora in poi si ubbidisce (in quanto inconsci) al programma installato, in modo automatico.

  Se il DSM è una porcheria, il discorso non muta certo per l'OMS, questo dinosaurico ente supremo, questo deus ex machina della salute pubblica universale. 
   Ma la medicina o psichiatria che sia, dirà più di qualcuno, nonostante tutto, spesso serve, adducendo casi risolti, di guarigioni non ottenibili, il "se non fosse stato per... a quest'ora..." ecc... Certo, ma in che percentuale?... E siamo sicuri che i casi risolti siano dovuto proprio tutti alla scienza medica? Voglio essere buono. Nell'ottanta per cento dei casi è del tutto inutile e il più delle volte dannosa. A che serve poi guarire, se per una persona se ne fanno ammalare altre 10, abbassando eo ipso dei parametri già di per sé poco oggettivi stabiliti ad hoc. Inoltre, le persone che presume di curare non è forse spesso il sistema sanitario gestito da questa Signora asettica in camice, senza volto, che le ha fatte ammalare?... Stefano Montanari con un sorriso amaro nel suo libro divulgativo Il girone delle polveri sottili cita di un professore universitario che ammoniva i suoi studenti dicendo di ricordare sempre che (cito a memoria),"nonostante le vostre cure il paziente guarirà". Non è una boutade. Le guarigioni in effetti sono sempre autoguarigioni. Vedi omeostasi. Viene riportato anche che durante gli scioperi del personale medico, negli ospedali la mortalità diminuisce. La malasanità non è qualcosa di marcio dentro il sistema medico-farmaceutico, ma la sanità stessa. La malasanità dichiarata dai media è il caproespiatorio, come a dire: "guardate ci sono diverse cose che vanno male, è indiscutibile, lo ammettiamo e siamo noi stessi a denunciarle (quando l'evidenza è ormai sotto gli occhi di tutti) - vedi la coscienza della trasparenza! - ma per il resto è tutto OK". Ma è proprio il resto che non quadra. Basta vedere lo scandalo del vaccino antinfluenzale per H1N1. Questa è la vera malasanità. Quanti sono stati i medici a non avere prescritto il famigerato vaccino ai loro clienti?... La sanità è mala.
   Ancora sul Fatto quotidiano, in merito a questo "allargamento dei parametri che definiscono la malattia" a persone prima ritenute sane, certo dr. Allen dice che vi è “un conflitto intellettuale, non finanziario negli specialisti - beh, difficile a credersi -  che tendono a espandere le proprie aree di ricerca, e ad ignorare le distorsioni che possono verificarsi nell’applicare il Dms V nella pratica clinica reale”. Vabbè diamola per buona. Aggiunge poi lapalissianamente che... “le nuove diagnosi in psichiatria sono più pericolose di nuovi farmaci, perché da queste dipende la somministrazione o meno di farmaci a milioni di persone dai medici di base dopo una breve visita”. D'accordo Allen, ma per caso le vecchie diagnosi non sono state ugualmente pericolose? La diagnosi psichiatrica tout court non è pericolosa?... Non per chi la fà, è ovvio. E che dire delle consequenziali terapie?... Coma insulinico, elettroshock, lobotomia... La storia stessa della psichiatria ab origine è costellata di orrori.



[1] Salute, cambia la “Bibbia” di psichiatria: il dolore da lutto tra i sintomi - Il Fatto Quotidiano

giovedì 10 gennaio 2013

Il pifferaio (ritratto d'autore)

"Per fortuna io sono Jung e non un junghiano" - C.G. Jung

Carneade! Ma si può sapere chi è costui?...  questo signore tutto incravattato?... Bada a come osi, costui è un demonio della psichiatria, un  certo angelo decaduto malinconico che se la ride della verità rivelata. Malinconico, uhm... a vederlo non si direbbe, nevvero?... così ben paffuto. Un intoccabile, ragazzo, o, come direbbe il  maresciacallo romanaccio, suo compagnuccio di mer(en)da, "un sano de mente".

Ma perché dico io, costui ha tutto questo successo (vedi sue marchette), come poliziotto psichiatrico, e io mi ritrovo puntualmente sempre nel cesso delle attenzioni dell'istituzione psichiatrica?... perché?...
   Ho imparato che la psichiatria è di fatto una mera caterva di opinionismo sfrenato e vanagloriante,  contrabbandato come scienza, conchiuso nel suo dizionario termino-illogico impentrabile ai più. Hamletto dal cerebro protetto da cappa plumbea nozionistica accademica forgiata a mo' di preservativo d'acciaio imperforabile, questa sfinge eroica si dedica a cazzeggiare polifonie ofeliche in volumi e volumi, articoli vanicoli, convegni, scrofegni... Mai che ritegni il tempo di dedicarsi ai pazienti, suoi utenti-usati... Il tempo ce l'ha eccome!... quello di prescrivere una pillolina, qualche goccina psicofarmacotica e via col vento delle scorregge fischianti fuoriuscite dal soprano suo buco del culo. È la polifonia d'Ofelia, o Loffa per i fiutascorregge suoi seguaci. I colloqui prospettati dal buco superiore orale invece sono a pagamento, per il bene del paziente, s'intende, che, così pagando, prende autostima di sé parlando, come prescrive la regola maledettina ora et labora. Già maledizione di Dio, il lavoro, così inteso, oltre a permetterti di lavorare senza pensare per tutta la vita, servirà a pagare anche le marchette dello strizza-cervelli.  Vedi la chiarezza! Ma a chi la dai a bere Malconcio?...Tutti i libri e articoli che hai scritto e/o venduti non sono forse a nostre spese?...
Povera Ofelia, povera Lilì, ma l'arte e tanto grande e la vita è così breve!
Chissà perché il tempo mai non trovo... In musica si dice rubato, e già. Musica sono anche i dindi. Caro hamlettico cantore, la polifonia a più voci nei reclusori dei reparti psichiatrici chiusi e aperti che siano ve la de-scriverei io, psiconauta, a suon di note, caro caro il mio dottore che 'l magico piffero suoni.

martedì 8 gennaio 2013

Interdizione di fatto (fatti e misfatti) - 3

   Un freddo giorno di febbraio ("da soffocare il mondo decisamente"), con i campi ancora innevati, prima della caporetto dei pannelli fotovoltaici, venne a farmi visita (di controllo) una triade capitolina: tre donne. Il che equivale a triplice calamità. Disgrazia ancor più grave se si pensa che trattavasi di una psichiatra, un'assistente sociale mi sembra, e un'altra presentatasi in qualità di non so che. Furono mandate dall'ASL di Termoli (il che significa da Malinconico) per accertarsi delle mie condizioni psicofisiche, su richiesta di mia sorella per mezzo del suo avvocato.
   Questo è quanto mi viene riferito dal maresciacallo Scioli, romanaccio: "queste te le mande tua sorella". Li mortacci!... Li mortacci sua che so' anche i mia. La situazione era quella in cui mi si voleva far capire che il suo era un tentativo sororale di interdizione. A fin di bene, s'intende, suo. La faccenda non era e non è ancor oggi proprio così limpida sì come me l'hanno dipinta. Comunque venne a instaurarsi un colloquio tra l'informale e il pro forma, anche se per me ormai si tratta solitamente di monologo a una o più voci. Un dialogo fra sordomuti, se vogliamo. La situazione che si era creata, o meglio, che hanno voluto creare, in fin dei conti, era quella di non farmi parlare di mea sponte (vedi la sponte che ritorna|), ma in modo piuttosto velato, senza darlo a vedere (ma io lo vedevo, eccome!), quella di fare accertamenti sullo stato della mia salute psicofisica. Il maresciacallo, intanto, dopo sua esibizione esilarante da vero simul-attore per introdurmi alle dame, sbraitava al telefono con chi?... presumo volesse lasciare intendere che stesse parlando con mia sorella o con lo psichiatra Malinconico o quello di turno, chissà.
   Si fece poi passare la voce che il test di verifica fu un vero trionfo per il sottoscritto, in quanto, a dire addirittura del pubblico ufficiale (sì, proprio quello che non s'addrizza), avevo risposto bene a tutte le domande. E che stiamo a Lascia o raddoppia" per caso?... La psichiatra era di un'intelligenza modesta, diciamo, men che quella contenuta nel cerebroleso di una gallina. "Ma se ti hanno prescritto gli psicofarmaci in tenera età vuol dire che erano necessari". Certo, madame,  ma a chi? Non certo a me.
   Comunque, questa visita diciamo inaspettata ha le sue belle premesse. Il maresciacallo era venuto nei giorni precedenti diverse volte, per sondare le acque. Mi voleva fare un regalo a tutti i costi. Visto che mi trovavo senza corrente e senza luce, insisteva nel comprarmi una torcia, o un tipo di aggeggio ricaricabile manualmente. Viste le insistenze da monotono questuante, accettai il suo regalo: una penna che era anche una piccola torcia. L'ho sempre detto che le cose gratis sono le più costose. Poi da sconosciuti...(infatti lo conobbi allora). Lui, il maresciacallo era colui che doveva preparare la strada alle signore della visita di cui sopra. Un situazione da traviata, molto traviata, molto innevata, con tanto di fango per tutti, visitato e visit-attori. Stando all'accaduto, mia sorella avrebbe provato la strada dell'interdizione. Cosa non del tutto chiara, anche se mia sorella c'entra in pieno in tutta questa storia, comunque. Se si considera che questa visita di accertamento, consegue a l'altra di pochi mesi prima del tiro al faggiano (il sottoscritto) praticato da cacciatori mandatari... poi tutto l'andazzo compae-sano  generale... Ce n'è abbastanza da far impazzire una persona normale. Io per fortuna già lo ero... furibondo! Questo nel nevoso febbraio del 2011. Alcuni mesi dopo questa visitina, giacché mi era entrato nella capoccia un chiodo fisso che mi diceva qualcosa non quadrava in questa faccenda dell'interdizione, decisi di andare in caserma a chiedere il documento - ci doveva pur essere! caspiterina! -  che ha permesso di muovere questa macchina burocratica di controllo e verifica dello stato mentale del sottoscritto. Di fatto, non si può fare richiesta o tentata richiesta di interdizione a voce, o per sentito dire. Avrebbe dovuto esserci la prova scritta.  Fatto sta che il maresciacallo Scioli, colto di sorpresa, cercava, da gran volpone qual'è, di farmi decantare questa mia fisima, tergiversando e cercando distrazione per distrarmi, addirittura arrivando a promettere di farmi un regalo: una batteria da 100 A. Se la penna da lui regalatami mi è costata una visita psichiatrica, adesso, velatamente cercava di comprare il mio silenzio?.... Pensava di addormentarmi con  le sua loquacità. Ma tagliai corto. Marescia' 'cca nisciune è fesse! Se c'è stata richiesta di interdizione, ci deve essere una scartoffia da qualche parte. Non vi pare?... Sì, certo. Ma dove l'avrò messa?... Ah forse qui, in questo scaffale, forse là, non mi ricordo bene. "Eppure avete una buona memoria!" lo stuzzicavo... Cercando di togliersi d'impaccio, mi disse deciso, "ah ce l'hanno in comune, qui non è arrivato niente". Dajjè che se ricomincia! Vabbè, vado in comune. Per preventivarsi i comunali, almeno per una volta, non ebbero il tempo necessario; troppo breve era la distanza che separava la caserma dal municipio. Lo stesso smarrimento psico-sensoriale. Richiesta, ma quale richiesta?... Sì, ma, forse... La Graziaplena - una totò in gonnella in questa circostanza - con molta pacatezza mi disse esplicitamente: scusa se ti hanno fatto la richiesta d'interdizione... Tu dove sei nato? A Rosignano Marittimo, icche c'entra?... C'entra perché è lì che devi fare la richiesta per ottenere il documento che ti occorre.  Ma guarda che ancora ragiono. Concedo: sono matto ma non scemo. Ma se io da quasi appena nato non esisto più a Rosignano. Sono un extracomunitario per tale cittadina toscana. Cosa devo richiedere al suo comune?...  Insomma, come dire, mi fanno una multa a San Martino e secondo quando si può evincere dal s-ragionamento di costei dovrei pagarla a Rosignano... Incongruità, il tuo nome è donna... piena di grazia, il signore con te e io sono interdetto... Siamo nel mezzo della farsa. Se la racconti a un neonato quello schiatta dalle risate. Lo capisce anche lui ch'è una barzelletta. Non ho parole. La mattinata finisce tutta a tarallucci e vino e fra questo scaricabarile di competenze fra caserma e comune. Devi chiedere a quello a quell'altro, No, devi venire quando c'è il segretario, lui forse ne dovrebbe sapere qualcosa. Cazzo, ma solo io non so e non devo sapere niente! Per non perdere la mia "amicizia", il maresciacallo comprensivo, messo alle strette, mi chiese cinque giorni di tempo per reperire questo documento, questa lettera insomma. Per lui si trattava in effetti di trovare il tempo per  uscire dall'impasse che gli avevo causato con la mia improvvisa e inaspettata richiesta. Si trattava di prendere tempo. Scopro così per l'ennesima volta una progettualità, la solita, perpetrata nei miei confronti. Gli avevo rotto le uova nel paniere, per dirla in breve, a lui e ai suoi mandanti che tramano all'interno del sistema psichiatrico. Il giorno dopo, manco a farlo a posta, il maresciacallo, casualmente, guarda caso, si trova a passare per la strada che percorro di solito in bici dicendomi, "tutto a posto... ho trovato la lettera (in effetti erano due lettere), domani se vieni in caserma te la leggo". E così avvenne. Il giorno dopo mi lesse le due lettere, il nome delle tre dis-grazie psichiatriche, il nome dell'avvocato di mia sorella... Quasi mi veniva da gongolare, ma l'agognata richiesta, quella di poter avere una copia del documento non poteva essere soddisfatta a causa della prassi che in questi casi impone che... ecc. Allora metto l'avvocato. Ma dai chi te lo fa fare, spendi soldi, non ne vale pena, questua il maresciacallo... Ho messo di mezzo l'avvocato, quasi subito, ma il risultato fu che il documento in un batter d'occhio sparisce stranamente dalla caserma e finisce alla procura di Larino. Almeno questo è quello che mi viene riferito. Sono passati mesi, ora perché tutta questa fretta di insabbiare, di occultare? Vabbè che in Italia è diventato ormai norma... L'avvocato Maria Pia Licursi mi racconta che non può ottenere fotocopia documentale nemmeno alla procura di Larino poiché, da quando ha rilevato personalmente, ci sarebbe un processo in corso per scagionare mia sorella dall'"accusa per abbandono d'incapace" (che sarei io), avendo il giudice tutelare constatato immotivata la richiesta d'interdizione dal lei fatta pervenire tramite suo legale. Mi sembra un tour de force assurdo, ma è così. Absurda lex, sed lex. I processi in Italia durano anni, ecc... Fatto sta che questa faccenda dell'interdizione puzza di imbroglio e di manipolazioni psichiatriche e familiari a un miglio. Già avvertivo stretto il fetido fiato sul collo di quella piovra che per gli amici è Angelo, per me Malconcio.
   Una volta la psichiatria curava con l'elettroshock, il coma insulinico, la lobotomia, poi entrarono in commercio gli psicofarmaci, e, adesso, si comincia, a quanto pare, a creare realtà dal nulla.  Non si lascia scappare nulla, pur di esercitare il controllo su tutto ciò che si muove, su tutto ciò che vive.  Bisogna tranquillare.

Evidentemente il sistema psichiatrico ha compreso, in ritardo di secoli, che le persone in quanto maschere (non solo nell'etimo), non possono che recitare, creare situazioni teatrali, provarsi e riprovarsi nei loro continui drammi quotidiani, trovarsi a gestire e ad essere gestiti sulla scena del mondo. I discorsi si risolvono in monologo...
Out, out, brief candle!
Life's but a walking shadow, a poor player,
That struts and frets his hour upon the stage,
And then is heard no more. It is a tale
Told by an idiot, full of sound and fury,
Signifying nothing.
(Shakespeare, Macbeth)
   "La vita non è altro che un'ombra che cammina, un povero commediante che trascorre il suo tempo a impettirsi e agitarsi sul palco finché non s'ode più nulla. È la storia raccontata da un idiota, tutta strepito e furia, che non vuol dire niente".
   Siamo maschere per gli altri, ma anche per noi stessi. Le relazioni umane esigono capacità di fingere. Ma per fingere (bene) e riuscire nell'impresa di farsi prendere sul serio per quello che non si è, si finisce per fingere con sé stessi. È il gioco (o giogo) dello specchio. L'altro come riflesso. Io sono l'altro. Io sono come mi vedono gli altri. Io sono nella misura in cui sono per gli altri.
   La psichiatria così entra, o meglio permane protagonista nel teatro del mondo... come volontà e rappresentazione, o, in altri termini, come deus ex machina, controllando di fatto la funzionalità delle finzioni affinché restino adeguate allo statuto sociale. La psichiatria viene in tal modo a creare drammi, commedie, farse, tragedie... Diceva giustamente Antoine de Saint-Exupéry: "la realtà non si scopre ma la si crea".

martedì 1 gennaio 2013

Villa Serena

Ecco un mio scritto risalente a più di decenni or sono, di un esperienza avuta più di un quarto di secolo fà, che riporto per intero quasi del tutto immodificato. Già d'allora avevo le idee confusamente (sic) chiare.
"La malattia più diffusa è la diagnosi"
Karl Krauss


«Volgiti 'n dietro e tien lo viso chiuso;
      ché se 'l Gorgón si mostra e tu 'l vedessi,
  nulla sarebbe di tornar mai suso».
Dante Alighieri

Villa serena, ingresso principaleUna volta, tanto tempo fa, ho avuto la sconsiderata idea di farmi ricoverare a Villa Serena, una clinica psichiatrica vicino Pescara. Pensavo che le cure di specialisti potessero essermi di giovamento per la mia malattia. Nel colloquio iniziale che ebbi con la dottoressa Sabatini ci fu un equivoco di fondo che mi portò diritto nel reparto per i malati cronici. Lei, come la usuale prassi impone in questi casi, cercava di acquisire un po’ di dati riguardo al motivo per cui volevo essere ricoverato, fare un po’ di anamnesi insomma. Gli raccontai un po’ della mia storia, ma purtroppo nel verbalizzare gli ho segnalato anche il tentato suicidio [1] accaduto tempo addietro.
   Non so se abbia capito male o, forse, se mi ero espresso male; pensava evidentemente, nella sua aurea distractas,  che avessi ancora in testa l’insana idea. Perciò mi fece accompagnare da un infermiere nel reparto anzidetto, non sapendo ingenuamente che di fatto mi stavano praticando un T.S.O. Mi sono trovato di colpo in mezzo a tutti quei malati di mente privato della libertà. Mi sentivo come se fossi piombato in una voragine, dentro un girone infernale non registrato da Dante nella sua Divina Commedia ma confermato da un matto del reparto che recitava ossessivo i versi:
"Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura
che la diritta via era smarrita"
    C’era di tutto lì dentro, persino tossicodipendenti (?), che facevano costoro là? Rappresentavano, coerentemente alla struttura psichiatrica un bel cavolo a merenda. M’incazzai come una belva e sferrai un calcio a una sedia facendola volare per alcuni metri; in qualche modo dovevo pur esprimere il mio dissenso nei confronti di questa situazione in cui mi venivo a trovare contro la mia volontà e, tra l’altro, per un errore di valutazione da parte della dottoressa Sabatini. Mi è rimasta, da quel momento in poi, proprio sul c... Silenzio! È inutile dire che se avessi manifestato dissensi o cercato di far capire che doveva esserci stato uno sbaglio sicuramente il personale avrebbe adottato la formula cautelare: "il paziente riferisce che..." sintetizzando quindi che stavo solo esprimendo uno mio sintomo paranoico.
   Gli infermieri mi presero con cura (forse perché non sapevano con chi potessero avere a che fare) e mi misero a letto facendomi una flebo con valium, per farmi addormentare. Non opposi resistenza poiché sapevo che non solo non sarebbe servita a niente, ma sarebbe stata addirittura controproducente; non mi sarei insomma guadagnato il "lasciapassare" dei dottori che finalmente mi avrebbero potuto finalmente far uscire via da lì.
    Ricordo che il reparto era molto affollato. Un ragazzo era in preda a un attacco logorreico, sparlava continuamente senza fermarsi mai; esternava quegli evidenti sintomi psicotici, come se si volesse liberare di tutte le parole del mondo, una vera mitragliatrice umana.
    Un altro ragazzo, molto più giovane, si masturbava davanti a tutti, lo sguardo era assente come se avesse un’anima spenta senza meta. C’era un uomo che agitava la testa roboticamente per tutto il giorno. Che macchina mostruosa era mai questa?     In tutta la sua crudeltà vedevo uno scenario di anime condannate. Non riuscivo a capire proprio chi poteva essere più pazzo: costoro o gli psichiatri che li detenevano. Urla bestiali da spaccare i timpani e provocare paura... paura di fare qualcosa di sbagliato che mi avrebbe distaccato per sempre dal mondo. Era veramente sconcertante. Forse non sarei mai uscito vivo da questo maledetto posto. Ero scombussolato. Il chiasso e la visione di quel che accadeva in quel posto mi provocava un caos mentale un senso di panico difficile da gestire. Avrei voluto essere cieco sordo.
    La psichiatria per curare il malato basta che lo porti all’inferno facendogli assaggiare un po’ di quell’orribile fuoco e poi se ne esce vivo, sicuramente non vi ritornerà più. Altro che scienza! la psichiatria! Le torture più inumane vengono chiamate cure. Scusate se mi ripeto ma la mia opinione di paziente psichiatrico (e non di medico castigamatti) è che: un malato avrebbe bisogno senza ombra di dubbio di un posto tranquillo dove poter riposare e recuperare le proprie energie mentali; avrebbe bisogno di essere compreso, aiutato in maniera disinteressata. Macché... Invece... La cassetta delle posate che servivano per far mangiare i pazienti era posta sopra il cesso. Un trattamento e un servizio che si possono usufruire solo in un albergo quattro o cinque stelle. Basta! Ero nauseato, depresso, terrorizzato... non sapevo cosa fare per poter uscire fuori da questo schifo. Soltanto stando lì dentro ti accorgi cos'è la follia: una terribile forma di emarginazione.
   Credo che se non avessi conosciuto e fatto amicizia con un altro ricoverato ci sarei rimasto a vita. Lui cercava di sdrammatizzare (era la negazione del dramma in persona), di distrarmi da questa brutta situazione. Aveva un intelletto assai vivace e andavamo così a zonzo fra quei pochi metri cubi di libertà. Mi disse che era stato internato perché aveva buttato dalla finestra la mobilia di sua madre, il televisore... ma non sua madre però. Era di Perugia... ricordo. Lo vedevo un po’ come Virgilio, una guida spirituale in quel caos infernale ed era veramente la notte della ragione.
    Eravamo chiusi lì dentro senza poter in nessun modo uscire. Per prendere una boccata d’aria ci toccava andare vicino a una finestra situata in un angolo del reparto opportunamente chiusa con sbarre di ferro. L’unico dottore che ricordo con simpatia era un certo Basile che un giorno passò la notte a dormire nel reparto. Una cosa che mi turbò molto erano gli infermieri che davano calci ai pazienti, specialmente ad uno, in mezzo alle gambe poiché tale matto, proprio quello che recitava versi della divina commedia, chiedeva loro questa cortesia, venendo espressamente e puntualmente esaudita. Dopo alcuni giorni passati reclusi là dentro ci fu concesso il permesso di uscire e avemmo così modo di conoscere l’assistente sociale, una donna, con cui io e il mio amico verbalizzammo la nostra esperienza raccontando ciò che accadeva nel reparto. Sembrava meravigliata, incredula. Il mio amico poteva apparire un po’ burlone nel suo eloquio ma poi, spostando lo sguardo su di me, la dottoressa fissò il mio volto, serio, ancora provato dall’esperienza e io non feci altro che confermare annuendo.
   C’è del marcio in Danimarca! Ricordo un ragazzo, più o meno della mia età, che praticava yoga, suonava il violino e conosceva bene la musica dei King Crimson; aveva l’aria dell’artista e mi sembrava una persona a posto. Che ci faceva qui dentro pensavo - fra me e me - che correzione possono apportare alla sua personalità? Anche lui condannato. Se la società condanna la psichiatria di certo non redime! Un paziente una volta mi raccontò una brutta storia. Alla morte di sua madre lui per il dolore e la disperazione si taglio i legamenti dei polsi e del ventre restando così curvato e con le mani paralizzate. Mi sentivo male per lui, provavo compassione... Ad un tratto mi guardò come se volesse avere da me una verità dalla mia risposta. Mi chiese: "quale è la parola più bella del mondo?" Ed io con le lacrime agli occhi gli risposi: "mamma!"
   Ci vorrebbe proprio una ‘madre’ che ci accudisca, ci educhi alla vita amorevolmente, ci faccia crescere sani ma qui siamo sotto il dominio di un ‘padre padrone’ un cerbero che ci smembra, ci tiranneggia. Fateci capire almeno, per favore, quali sono le nostre colpe per cui dobbiamo pagare questo prezzo. Dico a voi psichiatri!...
    Nessuna risposta. Per loro non esistiamo, scrivono la solita pappardella su dei fogli: "Il paziente riferisce che..." In mezzo a tutta questa confusione devono vivere, o meglio, sopravvivere gli psicotici. A questo punto non si deve più discutere ma guardare in faccia la realtà: L’inferno non penso si possa immaginare diversamente.
    È proprio vero, per guarire ci vuole proprio una struttura psichiatrica con tutti i suoi dotti ed eruditi cervelloni. Avranno studiato certamente all’università di Lucifero.

[1] In effetti, non si trattava di tentato suicidio. Volevo solo stordirmi usando gli psicofarmaci con lo scopo non propriamente ben chiaro di farmi ricoverare nel reparto termolese di "mamma psichiatria". E come si sa di mamma psichiatria ce n'è una sola.

Sì viaggiare!

Il colpo di pistola alla partenza venne senz'altro sparato dai comunali. Così verso le tre del pomeriggio inizio questo viaggio allucinante dove, come dicevo, miei cari postumi lettori, ho visto cose che voi umani non potreste mai credere. Ecco la cronologia delle tappe. Il mio mezzo di locomozione: una vecchia mountain bike con un portapacchi da me allestito, più che voluminoso, diciamo abbastanza vistoso. Presagendo questa losca mossa dei comunali, mi ero premunito, comprandole da Cardaccia termolese, di un paio di scarpe pesanti da trekking e un paio leggere da corsa. I piedi erano troppo importanti adesso, andavano salvaguardati. Soldi benedetti. Infatti la loro utilità fu enorme. Non avevo con me la tenda, né vestiario adeguato per affrontare un simile viaggio. Ma ero disposto a tutto pur di riuscire nell'impresa: andarmene almeno per un po' di tempo (e poi per sempre) da questo cesso compassato compae-sano.

Ecco la sintesi del viaggio.

26 Ottobre - Partenza ore 3/3.30 circa. Termoli-Vasto
Dormo alcune ore in territorio petacciatese. Il terreno è umido. Non sono d'accordo, ma mi adeguo. Dormo poco e mi sveglio indolenzito. Deciso a chiudere una volta per tutte con questo paese. Ci pensi. Non vedrai più quei pezzi di merda: il Signor 7x5, il maresciallo, il pubblico ufficiale, e tutta quella marea di sfaccendati che non hanno altro a cui badare se non ai casi altrui.

27 Ottobre - Termoli-Vasto.
La mattina presto, era buio, rischio di terminare il viaggio con una caduta spettacolare causata dai fari abbaglianti puntatimi addosso da un deficiente. Il viaggio per una attimo ho temuto di proseguirlo nell'oltretomba. Cercai di fermarmi, ma era troppo tardi ormai e finii così dentro una cunetta di cemento armato.  Fortunatamente illeso, riprendo in direzione di Vasto, ma fatti diversi chilometri mi accorgo di aver perduto il borsello con dentro alcune centinaia di euro. Infatti nella caduta in quelle ore più che antelucane il borsello era finito, senza che me ne accorgessi,  nella cunetta. Patema d'animo. Mi tocca tornare indietro. Cominciamo bene. Solo adesso mi accorgo di quanta strada avevo percorso: diversi chilometri. Passa un camion e qualcuno dall'abitacolo mi grida qualcosa, pare dicesse: "aho metti dentro la bicicletta che ritorniamo in paese". Figurarsi! avevo tutt'altro pensiero per la capa. Il tizio, certamente un lavoratore mio compaesano, non rendevasi affatto conto che io ero direzionato al borsello e nemmen per sogno a casa. E meno male che non se ne rendeva conto!. Per fortuna la notte aveva ben occultato il luogo della caduta a qualche occasionale autista di passaggio... Gaudio! Ritrovo intatto il borsello. Via, si riparte....
A Vasto compro il sacco a pelo e un copricapo tipo colbacco. Arrivo dunque in territorio ortonese e cerco una sistemazione per dormire. Bellissima la costa tra Vasto e Ortona! Mi sistemo anche qui su terreno umido. Mi infilo dentro il sacco a pelo. La notte è lunga e porterà consiglio. Ma non passa molto che vengo svegliato di soprassalto. Sentivo grugniti dappertutto. Porcavacca!... Cinghiali! Un invasione di cinghiali (forse 10-13); non ne avevo mai visto così tanti, ne ero letteralmente circondato; fuoriuscivano dalle cannucce ch'erano lì distanti solo qualche metro da dove stavo. Ho constatato con mano, che i cinghiali non attacano se non vi è motivo. Non mi preoccupai più di tanto. Decisi così di spostarmi di alcune decine di metri dalle cannucce, che sembra essere il loro luogo prediletto. Non si sa mai. Dormii anche qui poco.

28 Ottobre - Ortona > Pescara. (Tocco di Casauria, Popoli > Raiano)
Mangiato un paio di buone pizze e delle noccioline, sono a Pescara, città passatista rifatta che vive dei suoi fantasmi (Gabriele D'Annunzio!). Mi ritrovo a pernottare a Raiano... Mi sveglio con la testa un po' indolenzita. Dopo ne capii il perché...

29 Ottobre - Raiano > Castelvecchio Subequo > Castel Ieri  > Collarmele > Forca Caruso (Parco Naturale Regionale Sirente-Velino) > Celano > Avezzano
Ho così visto a Raiano il bellissimo inceneritore. Mi faceva venire in mente la fucina di Lucifero. Un atmosfera tetra aleggiava all'intorno e tutto quel fumo nero che fuoriusciva dalla ciminiera era sicuramente dovuto principalmente alla plastica che vi si bruciava. La plastica contiene cloro che bruciato forma diossina. Chissà quanto ce n'era lì attorno. Capii il perché della testa che mi duoleva al risveglio. A Castelvecchio Subequo mangio una squisita pizza al pomodoro. La migliore che abbia mai assaggiata. Mi coglie la pioggia e cerco riparo per un po' sotto un gazebo in legno del paese vicino (Castel Ieri). Riparto comunque nonostante la pioggia e affronto così una aspra salitaccia che mi porterà al valico di Forca Caruso (1100 m slm) per poi ridiscendere nella zona pianeggiante del Fucino e finire bagnato nella bagnata notte di Avezzano, nonostante preventivamente vi avessi acquistato ad hoc una economica tenda da campeggio. Non è servita in questo caso... Dormo (?)... bagnato, sacco a pelo bagnato, tutto bagnato. Notte bagnata notte infernale, la cui pena ovviamente non è patire il fuoco, ma l'acqua e il freddo. Sembra che l'umido e il bagnato siano il mio destino.
Più di un cenno a parte meriterebbe la stupenda riserva naturale del Sirente-Velino, le gole di San Venanzio, per cui posso ben dire che l'avere affrontato questo viaggio, nonostante le sue difficoltà e gli imprevisti, ne è proprio valsa la pena.

30 ottobre - Avezzano > Scurcola Marsicana > Tagliacozzo > San Giovanni
Altro giro altra corsa. Mi ritrovo a pernottare a San Giovanni, una frazione di Sante Marie (non molto distante da Tagliacozzo). Nel pomeriggio avevo cercato di far asciugare, in maniera un po' rocambolesca, tutto l'armamentario e gli indumenti che avevo. Verso sera sistemo la tenda e il sacco a pelo in un luogo riparato.

31 Ottobre - San Giovanni > Pietrasecca > Carsoli > Arsoli > Mandela > Vicovaro > Tivoli > Roma
Intrepido eroe mi risveglio al mattino con la prima neve, meravigliato, ma molto preoccupato. Fui costretto a forzare le tappe. Dovevo cercare di uscire presto dalla zona appenninica laziale-abruzzese, altrimenti avrei potuto rimanervi congelato a tempo indeterminato. Mi ritrovo così nel pomeriggio a Tivoli, pensando che da qui avrei trovato una strada alternativa, che m'evitasse l'attraversamento di Roma caput mundi. Proseguendo la Tiburtina per il centro storico di Tivoli affronto una discesa scoscesa e in un batter d'occhio mi ritrovo a... ROMA! Porcaccia miseria! Ciò che volevo in tutti i modi evitare... Eccola la città eterna. Li mortacci sua! Come la preda di un ragno di proporzioni gigantesche mi ritrovo invischiato nella sua ragnatela intricata di strade e stradine... Fino a notte fonda non mi riesce venirne a capo. Come andarsene da questa caput inferni altro che mundi, questo è il problema. Cerco anche la possibilità di percorrere il Grande Raccordo Anulare, cercando una via di fuga e finisco per trovarmi a notte fonda scortato da un'auto della polizia che mi consiglia gentilmente di uscire alla prossima. Uno dei poliziotti mi indica la strada per poter prendere l'Aurelia additandomi l'attraversamento del centro e giù giù fino alla parte opposta... La notte la passai pedalando cercando un luogo appartato, sì, ma dove?... Non si scorgeva altro che la possibilità di un refugium peccatorum. Infatti. Sulla strada ammiccavano le puttane. Pernottai in un paesino vicino Roma, che poi vale a dire Roma.

01 Novembre - Roma (lascio la bicicletta sulla statale per Ostia)
Dormito poco. Miseriaccia! Dopo circa 25/30 ore di viaggio a piedi o in bicicletta, ero stremato, ma lì per lì non me ne rendevo perfettamente conto. Ciò lo spiego con il fatto che vivevo, anche se non del tutto cosciente, una situazione di pericolo. Cerco questa benedetta via Aurelia e attraverso così il centro. Decido di cambiare itinerario. Mi va di seguire la strada che mena a Ostia, la cosiddetta "via del mare", avendo l'intenzione di fare la strada che costeggia il Tirreno, ce ne sarà pure una! Era scritto nel Destino che la mia bicicletta dovesse defungere a Roma. Mi si rompe il portapacchi su un raccordo per la via del mare. In effetti pensavo, temevo di essermi ritrovato di nuovo sul Grande Raccordo Anulare, cosa alquanto incauta considerata la minaccia fattami dal poliziotto di una più che probabile multa, essendo recidivo del misfatto, quello di percorrere l'istessa strada vietata(mi) la notte appena trascorsa. Furente, presi armi e bagagli, lasciando la bicicletta sul posto al sicuro all'interno del ring del guardarail. Non mi restava altro ormai che ritornare a casa col treno. Purtroppo.

02 Novembre - Roma stazione Termini > Termoli (Treno)
Arrivato alla stazione, mi rammarico di aver perso anche l'ultimo treno della giornata così mi tocca aspettare fino alle sei della mattina successiva. La Stazione Termini di Roma è, più che una stazione, un grosso centro commerciale. Trovi di tutto, tranne la sala d'aspetto. Infatti, non esiste una sala d'aspetto in questo centro commerciale. Fui lasciato ad aspettare all'addiaccio. Bell'aspettativa. Mentre congelavo, rimpiangevo le vecchie FFSS e maledicevo le privatizzazioni selvagge. Anche per pisciare si paga. All'uopo mi è toccato sborsare un euro. Ecco finalmente l'alba. In carrozza si parte... Ci si scongela congedandosi da questa Roma stazione aperta. Troppi spifferi.

Questo viaggio mi è servito tra l'altro perché mi ha fatto conoscere alcune cose importanti. Prima di tutto la privatizzazione selvaggia, vagliata di persona: non si riesce ormai a trovare nemmeno un posticino appartato in cui vi possa essere la possibilità di poter pisciare in santa pace, senza rischiare di violare una proprietà privata. Questo accade soprattutto nei luoghi più densamente popolati, vicino alle città e alle zone industriali, che sono la maggior parte del nostro territorio. Per affrontare simili viaggi, facendo come suol dirsi cicloturismo, bisogna essere ben equipaggiati, specialmente nelle stagioni più fredde.

Interdizione di fatto (fatti e misfatti) - 2

Il fatto che io avessi intenzione di fare installare un pannello solare sulla casetta (nel suo senso etimologico di "capanna") campestre non andava a genio agli indigeni del luogo, soprattutto all'élite del mafio-comitato. Allorquando ero lì per lì per far installare addirittura quattro pannelli fotovoltaici, un impianto ad isola completo e autosufficiente, come garantiva l'elettricista Abiuso, ci fu panico. La "gente segreta" non sapeva più che fare. Ma qualcosa bisognava comunque pur fare. Per Dio. Si trattava di un'offesa alla pubblica decenza. Si potevano immaginare i discorsi in municipio, nei bar, in caserma, in psichiatria, in famiglia... I pannelli non s'hanno a installare. Oh! Questa fu la delibera comunal popo-ilare. E quel che è fatto è fatto, un matto resta matto in tutto. Interdetto. E tutto inter nos.
   L'assurda ambiguità di questa interdizione che promuove il sistema societario-familiare è che si vuole l'interdizione ma, allo stesso tempo, si esige velatamente che questa venga ratificata dall'interdetto di sua sponte. Mea sponte mea sponte mea maxima culpa.  Allora, sono capace o no di intendere e di volere. Dipende. Da cosa? Ma frate, da quello che fai e da come ti comporti. È una situazione-condizione, come si vede, inaccettabile. Volere non volere. Ma i pannelli per me sono un bene di prima necessità. È tutto a mie spese, a voi che ve frega?... Vedi, poi uno dice che la gente pensa solo a farsi i cazzi suoi. E infatti lo fà per interesse, mica per altro.
In mafiologia e in teologia non si fanno domande. Esiste solo l'omertà, il dogma. Il cemento armato dint'a cape, direi io.
Probabilmente se avessi installato i quattro pannelli come convenuto, a quest'ora già mi sarei rifatto delle spese. Dico "probabilmente" in quanto so come vanno le cose (volute). Avrei avuto la possibilità di autogestirmi. Cui prodest scelus, is fecit. Restiamo sempre nell'àmbito della convenienza; e poi si parla di solidarietà. Ma andate a cagare! L'interesse verso una persona lo si nutre solo in quanto può far comodo. In questo caso il termine interesse è più che appropriato.

Sono stato così circa un anno e mezzo fuori dal mondo, completamente scollegato. Te li immagini, dico a me stesso, un anno e mezzo!... in un'era dove le comunicazioni viaggiano a velocità inconcepibili fino a qualche decennio fà. E ci fosse stato qualcuno interessato ad allievare questo isolamento, elettrico s'intende.  Il lato comico della faccenda è che si sparse la voce che io avevo scelto di fare l'eremita, era una mia scelta di vita come dicono i militi e in particolare il simul-attore maresciacallo Mauro Scioli. E non c'è verso di far capire loro che si tratta di una scelta necessaria, per salvare la pelle, e non di scelta di vita. Necessito di tranquillità per una questione di salute. Già. Ma cosa può fregarne della salute privata a un sistema che contempla solo l'istituzione fondata sullo sfruttamento della salute pubblica?...

Quindi ritornando all'elettricità e all'autonomia che mi potevano fornire i pannelli, posso dire che gli oscuri personaggi facenti parte del mafio-comitato hanno emanato il loro verdetto.  Qui si potrebbe far finire la storia dei pannelli fotovoltaici, tanto agognati. Mea sponte mea sponte mea maxima culpa.

Come posso interessarmi a problemi generali, se non mi è concesso nemmeno di provvedere alle mie più semplici fondamentali necessità. Egoista che non sono altro! Decisi così, dopo il default dei pannelli fotovoltaici, di provvedere per una roulotte usata, in modo che potessi viverci come in una casa e, del resto, pensavo, la potevo anche far trasportare. Mi sentivo già una chiocciola. Viva la chiocciola viva la bestia che unisce il merito alla modestia. Un posto dunque lo si sarebbe trovato. La fine ve l'anticipo: è triste: identica a quella dei pannelli fotovoltaici. E già, non mollano questi fetentoni di compae-sani. Altro che mia sponte. Soffrire il freddo non è una bella cosa. La roulotte mi avrebbe permesso oltretutto con poco dispendio di gpl di riscaldarne il piccolo ambiente coibentato. Farò la fine dell'asino. È certo. E la gente in paese dirà in coro, porello, adesso che si era abituato a non mangiare!... è morto.
Ma è mai possibile! Uno sceglie di fare una cosa, sceglie di vivere a una certa maniera, vuole fare questo o quest'altro (a sue spese!). Progetta di fare una cosa e si ritrova progettato. Tu devi solo convincerti che quello che abbiamo scelto sia di tuo gusto e soprattutto di tua sponte. Chiaro?... Altro che!... Oscuro come la pece. Ma si può sapere cosa e di chi è sta sponte ?

Mea sponte mea sponte mea maxima Culpa. Ci risiamo. Una roulotte mi avrebbe fatto più che comodo. Ma il maccanismo impietoso di negazione della volontà subentra implacabile. La decisione di questo acquisto venne obliterata dal clan competente mafio-comitativo. La solita farsa, il solito balletto di competenze e responsabilità scaricabarile. Avevo bisogno di un luogo dove poter collocare questa benedetta agognata roulotte. Mi rivolsi al comune. Ahi ahi ahi, vedi che te li vai a cercare i guai. Ancor non sei tu pago di riandare ai sempiterni calli?... Le facce erano le solite facce da cazzo, ma quasi meravigliavo che potessero sembrare tutti d'accordo a concedermi un luogo adatto. Oh, deo Grazia! sono rinsaviti... Fecero addirittura finta di interessarsi asserendo e giustificando il ritardo con il fatto che il comune doveva garantire una certa decenza e i servizi essenziali all'uopo, a tempo e luogo. All'uopo, sì certo. Ma la cosa, come per i pannelli, andava avanti senza nessuna soluzione. Anzi era proprio ferma. Il segretario oberato dal suo mezzosonno e dintorni, smozzicava le parole centellinandone una ogni quarto d'ora. Forse bisogna vedere se è disponibile tale luogo o tal altro, chissà forse... però... e s'addormenta. dopo un quarto d'ora ricomincia: ma forse... bla bla bla... e cade di nuovo in letargo. Quasi ogni giorno era sempre la solita lagna. Passano i giorni e io sempre a chiedere e a insistere e a ripetere. E loro: forse... va bene quel posto, no quell'altro, chissà, forse sì  forse no. Un giorno che mi ero rotto proprio i coglioni, dissi al deficiente di turno: guarda sceglietelo voi il posto, dove e come vi pare a qualsiasi condizione, anche davanti al municipio, alla caserma, dove vi pare. Adesso non potevano più tergiversare. Non ti preoccupare, domani saranno in riunione tutti: il sindaco, il segretario e gli altri comunali... risolveremo stanne certo la faccenda. Oh meno male! Ma è una cosa che me l'hanno detto tante volte che a stento riuscivo a crederci. Infatti, non avrei dovuto crederci. Che ci crediate o no, miei postumi lettori, Il giorno stabilito mi venne comunicato proprio pochi minuti prima che non c'era nessuno per poter fare la riunione: chi è andato a mangiarsi la pizza, chi a farsi 'na grattatina di palle... Il messaggio era chiaro. Questo loro comportamento consuetudinario non ebbe a smentire la loro vigliaccheria. Altri mesi persi. Bastava parlare chiaro senza infingimenti e reticenze: guarda il posto per situare la tua roulotte di merda non te lo possiamo concedere. Semplice. E no che non è semplice. Ancor più la faccenda è di una bestialità inspiegabile, se si considera il fatto che il Signor 7x5  si era preso la briga di interessarsi del mio problema ea portarmi gratuitamente dal venditore di roulotte, un certo Franco (ammazza-cinghiali, anche costui cacciatore). Se ne era addirittura convenuto ufficiosamente il prezzo. Qualcosa non mi tornava e infatti non tornò.
Ormai, per esperienza decennale, so che bisogna considerare sempre: cosa ha stabilito il comitato? Niente roulotte. Potrei anche avanzare altre supposizioni, altrettanto attendibili. Ma mi fermo qui. Il giorno stesso della vacanza dei comunali resisi così irreperebili, verso le tre del pomeriggio (già avevo previsto che tale cosa potesse accadere) presi la bicicletta, non senza prima aver mandato a fare in culo i comunali. Meta: Francia. Dovevo liberarmi da questo marasma... E qui comincia l'avventura... Una settimana fuori dal paese, dove ho visto cose che voi umani mai credereste.