venerdì 4 dicembre 2009

Introduzione

Non ci stimiamo più abbastanza quando apriamo il nostro cuore. Le nostre vere e proprie esperienze vissute non sono affatto loquaci. Non potrebbero comunicare se stesse neppure se volessero. Questo perché manca loro la parola. Le cose per le quali troviamo parole, sono anche quelle che abbiamo già superato. In ogni discorso c'è un granello di disprezzo. La lingua, a quanto sembra, è stata inventata soltanto per ciò che è mediocre, medio, comunicabile. Con il linguaggio, chi parla già si volgarizza - Da una morale per sordomuti e altri filosofi. (Friedrich Nietzstche)

   Pensare è un arte, ma un arte difficile. La difficoltà primaria nasce dai condizionamenti e dall'assuefazione del pensiero al preconcetto. Esso non può, così condizionato, fare altro che esprimere pregiudizi e, cosa non meno importante, dobbiamo tenere conto della nostra natura animale che è la natura stessa del pensiero. Come animali siamo parenti stretti delle scimmie e dei cani. Avete mai visto un cane o uno scimpanzé fare un discorso, sviluppare un concetto, esprimere un giudizio o un opinione? Ecco che la comunicazione del pensiero diventa "informazione" finisce solo per comunicare l'esteriore, il non animale, ciò che non è vero, ciò che è falso contrariamente all'illusorietà iniziale del pensiero stesso che si credeva capace nelle sue intenzionalità di comprendere o di essere compreso. Così ci adeguiamo a credere alle nostre "bugie".    La comunicazione non esiste se non come fraintendimento, come smarrimento. L'intento che si credeva capace di comprendere e misurare, presumendo in buona malafede (sic) di riferire il di-scorso ("mai appartenente all'essere parlante")  smarrisce miserevolmente  il suo dis-onesto proposito. La comunicazione vive nel suo stesso paradosso: è incapace di comunicare. Ed ecco che essa cede il passo all'informazione . Si viene in-formati secondo l'ottica di sistema.  
   Lo stereotipo, il cliché, il preconcetto, il senso comune, le formalità, placano la nostra sete di verità, ci fanno sentire al sicuro ed immuni dalla "malattia del pensare", troppo laboriosa e troppo stressante per la nostra irrinunciabile indole animale. (Carlo Giordano)


Senza ragione - Documentario antipsichiatrico - 1 di 6

Scrivere un libro che spieghi razionalmente in modo comprensibilmente chiaro il mio modo di pensare è una faccenda per me virtualmente "straordinaria". Essendo io "prevalentemente" un artista (non essendo portato al concetto e alle spiegazioni) mi trovo così a scrivere e sviluppare per così dire un linguaggio con un lessico e regole grammaticali di una "lingua" che "non conosco", come potrebbe essere per esempio quella cinese. Ne farei volentieri a meno, starei in silenzio, senza dire o scrivere una parola, anche per anni, ma da questo mutismo qualcuno potrebbe dedurre ad hoc un consenso non dato.

Chi sta ai margini vede ed è costretto a vedere cose che chi è pienamente dentro il sistema non può, non riesce, non vuole o finge di non vedere. In questa zona di frontiera mi ritrovo così: solo, emarginato, amareggiato ma certamente con più libertà di movimento. Esprimo le mie riflessioni riguardo alle strutture e le funzionalità di sistemi sociali, economici e specialmente psichiatrici. Non sono uno specialista (per fortuna) dei vari settori e di conseguenza posso commettere certamente errori di terminologia, magari non riuscirò ad esprimere bene qualche concetto. E' un problema?... No, non ce ne cale un fico secco!

La "denuncia" comunque va fatta affinché almeno qualcuno impari meglio a distinguere l’oro da tutto quello che sembra così luccicante e scontato. Scusate la presunzione, ma si impara insegnando. Almeno una persona imparerà: io. Viceversa: insegnerò imparando.

Quello che appare o vuole presumibilmente apparire come verità scientifica in talune scienze dis-umane, purtroppo come la psichiatria, rappresenta in effetti solo l'espressione di un ideologia di sistema. Il linguaggio dovrebbe giustamente esprimere un qualcosa, comunicare un pensiero, uno stato d’animo, ma ha invero dentro di sé tendenzialmente un modo di procedere e svilupparsi, diciamo per così dire, con un certo significato autonomo rispetto alla realtà presumibilmente oggettiva che si vuole esprimere. Si sviluppa in questo modo una realtà parallela autonoma diversa, fittizia, avulsa dal contesto che si vuole svelare e possibilmente in aperto contrasto con questo. Una realtà oggettiva per poter rivelare la sua essenza deve essere, paradossalmente, ipoteticamente priva di linguaggio oppure si ammetterà che: esiste un metalinguaggio ad hoc che la possa esprimere pienamente in modo obiettivo. "L'intento non corrisponde  all'esito" (Carmelo Bene). Sarebbe opportuno considerare la conferma di J. Lacan sul linguaggio ovverosia il "discorso non appartiene mai agli esseri parlanti". Noi non disponiamo attivamente del linguaggio ma lo subiamo passivamente. Non agiamo ma siamo agiti. Siamo nell'atto. Il linguaggio insomma è dotato di autonomia rispetto ai dicenti. "Mentre diciamo siamo detti" (Carmelo Bene).

Questa autonomia di linguaggio per esempio può, in qualche modo, essere sfruttabile da chi sa ben parlare in modo coerente e chiaro; una inevitabile deformazione professionale. Questa tendenza autonoma del linguaggio è "utilizzata" dagli psichiatri. Automaticamente, solo per il fatto che una persona si trova di fronte ai loro occhi, scatta la deformazione. La mente dell’analista analizza il "malato", lo deforma, lo cataloga, lo ricovera, fa la diagnosi e prescrive la cura. In effetti ciò che conta non è "quello che pensa o sente il malato ma quello che il dottore pensa e fa nei suoi confronti".
- Il dialogo viene ad essere sostituito col monologo autoritario del linguaggio professionale e dal potere sociale che lo delega - . Si capisce bene che un tale linguaggio creato, dalla categoria della maggioranza, azzittisce qualsiasi dissenso e si istituzionalizza democraticamente come dittatura autonoma (sic). Non è discutibile poiché il linguaggio già codificato non può essere contraddetto da un qualsiasi altro tipo di linguaggio poché scadrà inevitabilmente nell'incomprensione, nell'emarginazione, nel dimenticatoio, magari provocherà reazioni repressive, ecc. Il malato, a torto o a ragione, non può mai negare il linguaggio normale che lo emargina. Non ne uscirà più fuori se non a pezzi.

Si è dato verosimilmente un significato estraneo ed estraniante che non appartiene alla realtà oggettiva del soggetto e della sua malattia, ma che resta verità virtuale, estorta tramite un potere occulto , gestito da fanatici gregari e tutelato dal sistema. Altresì, come nel linguaggio, così in ogni sistema e/o struttura si innesta una similare autonomia che possiamo chiamare anche: vizi di sistema o vizi strutturali. Singoli individui creativi si troveranno sempre in difficoltà nell’interrelazione con essi, poiché i sopraddetti avranno tendenza a contrastare fortemente ogni azione creativa e modificativa nei loro confronti (ogni atto creativo è implicitamente sempre destabilizzante). Inversamente possono implicitamente o esplicitamente adottare come autodifesa misure cautelative, restrittive o punitive di sistema. Dunque unità "piccole, mobili, intelligenti" (Fripp) e creative vengono viste come una implicita minaccia destabilizzante. Sviluppare una strategia di sopravvivenza è una condizione quindi necessaria e indispensabile; per un qualsiasi vero artista , che per definizione è creativo tutto ciò diventa imperativo. Se, secondo questi presupposti, il malato e la sua malattia venissero tollerati, intercettati come istanze creative e non come forme o forze involutive o distruttive si attuerebbe in questo modo una rivoluzione senza precedenti. La psichiatria in questo modo perderebbe il suo significato autonomo, ambiguo, incomprensibile e il suo ruolo s’invertirebbe scambiandolo con quello della sua utenza, poiché sarebbe essa stessa malata (come in effetti lo è). Ma come può un sistema istituito per uno scopo negare se stesso insieme allo scopo?

In una società come la nostra viviamo perennemente legati a sistemi e strutture che formano attorno a noi una prigione dalla quale ci è impossibile fuggire. L’arte è pura evasione, salutare: porta verso la libertà.

L’arte viene anch’essa vista come una costante implicita minaccia per le strutture di sistema, che hanno solo coerenza di sistema ma non di verità. La legge li tutela. Si può allora dire certamente che legalità non sempre è sinonimo di giustizia. Se la prima è fatta per dettare norme che incentivano la normalità e scoraggino e/o reprimono l’anormale, la seconda può essere solo vista come appannaggio di un ipotetico tribunale presieduto da Dio. La Fede in questo caso potrebbe essere intercettata in modo coerente come una vera e propria malattia.

La legalità di per se stessa può essere invero percepita da un artista come una ingiusta punizione, imposta, senza aver commesso il fatto. In questo caso il reato (sic) è già stato acquisito come prova: "sfuggire" alla norma è già di per se condannabile. A questo punto possiamo stabilire due valori e significati diversi, ma correlati e compatibili fra loro, per il significato di legalità. Il primo, e il più ovvio, è quello che razionalmente, comprensibilmente, facilmente si può desumere ed acquisire da leggi, codici e regole varie. Il secondo è intuibile ma non espressamente circoscritto e/o definibile, deducibile da accadimenti non visibili al primo ma indotti dal sistema ottuso che non può, per l’espletamento della sua funzione che mirare al suo scopo. I "due significati" non si escludono ma si sostengono a vicenda. Di conseguenza diamo questo doppio significato a tutte le parole ambigue come: norma, normalità, dissenso, malato, sano, cura, terapia, emarginazione, ecc.

Documentario antipsichiatria "la vena d'oro" video 1

il cannocchiale

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