venerdì 25 gennaio 2013

Dario un poeta?... divertente?... ah ah ah!...

  Leggo su Primapaginamolise.it : "Dario D'Adderio un poeta divertente". Minchia! Articolo datato... ma sgombriamo il campo da equivoci, per carità!... Vabbè, se ne dicono di tutti i colori; non mi stupisco più di tanto... "Divertente" nel senso di intrattenitore - badate bene - affabulatore, fingitore... Ben lungi dal divertere uscire dal solco... Lo so che tocco un luogo sacro comune, ma io da poeta ho il dovere etico di denunciare un simile abuso di linguaggio, di svelare l'arcano, di rimettere a posto la teminologia fuorviante... dare alle parole il loro giusto peso. Ho l'obbligo di svergognare un tale che si veste (o lo vestono) di panni altrui. A parte i disturbi gastro-intestinali suscitati dalla sola presenza, al solo levissimo sentore in lontananza... Cos'è la poesia, prima di tutto?... Non è un opinione e tutt'altro che divertimento-intrattenimento; semplicemente non è: non appartiene all'esser-ci, al sociale, al mondano, al colloquiale, ecc... Citando il vate per antonomasia (chi meglio di lui potrebbe non-definirla):
Poesia è distacco, lontananza, assenza, separatezza, malattia, delirio, suono, e, soprattutto, urgenza, vita, sofferenza (non necessariamente cristiana). È flusso dell'insofferenza d'esserci. È scontento, anche nei casi più "felici". È risuonar del dire oltre il concetto. È intervallo musicale d'altezza, lirico, in che si dice detta la delusione di quell'altro intervallo (distanza) tra il "pensato" e il riporto sulla pagina. È l'abisso che scinde orale e scritto. Poesia è distacco, lontananza, assenza, separatezza, malattia, delirio, suono, e, soprattutto, urgenza, vita, sofferenza (non necessariamente cristiana). È flusso dell'insofferenza d'esserci. È scontento, anche nei casi più "felici". È risuonar del dire oltre il concetto. È intervallo musicale d'altezza, lirico, in che si dice detta la delusione di quell'altro intervallo (distanza) tra il "pensato" e il riporto sulla pagina. È l'abisso che scinde orale e scritto. (C.B.)
   Ma cosa ha Dario D'Adderio di tutto ciò?... Niente, assolutamente niente. Perciò se ne parla.  La poesia è una cosa (indiscutibile oltre che incomprensibile anche laddove sembra scontata esserlo), Dario è tutt'altro. Non è compreso nella ristretta cerchia dei beneficiari del dono concesso dalle Muse, ovvero coloro che ormai cantano solo parole incomprensibili.
  Io, in quanto non io (assente), sono "degrato a poeta". Che c'entra Dario con la poesia?... La crocetta estetica! ahi ahi!... "Ne sende cchiù senà a cambane d'u matetine!..." Ma dai!... [Se poi si verifica che ognuno pensa positivamente ai cazzi suoi, altro che ricordar passato!]. È un intesa inter nos, troppo troppo accomodante. Questo menestrello menfregante non rischia nulla, dà in pasto alla gente quello che la gente vuole che gli sia dato (un autoinganno reciproco). Non rischia la pelle, come un vero poeta. Uno per tutti, vedi Dino Campana. Oppure, il bistrattato più prossimo a voi (ma lontano anni luce): Carlo Giordano.
   Non è che sia sbagliato o condannabile di per sé, ma non c'entra niente con l'arte e la poesia. L'arte è un salto nel "buio musicale" di che "s'acceca la voce", direbbe C.B.  Il dialetto, l'ho compreso anch'io, allorché mi accinsi a sviluppare analiticamente una grammatica del sanmatinese, senza nessuna smania di insegnare, per carità!, ma con il solo scopo di imparare: allievo di me stesso e basta. Scrivendo in dialetto, va da sé, si viene dirottati verso il popolare, il già detto. Io scrivo, musico, ciò che sente, che vive la gente. La  stessa struttura e storia della forma dialettale, intimamente legata al contenuto (significante prossimo al significato), porta nient'altro che a questo. Questo riporto sulla pagina o sullo spartito potrebbe essere avallato da Machado in modo veramente poetico e illuminante...
Chitarra di taverna che ora suoni
jota, ora petenera,
come gira a chi tocca
le corde impolverate.
Chitarra di taverna dei cammini
non fosti mai, né sarai, poeta.
   Dario fà l'intrattenitore, il divertentitore, da sempre... Per me, figurarsi, è tutt'altro che divertente... Costui celebra un passato morto e sepolto da per sempre, mai stato presente a sé stesso - figuriamoci! Riesuma cadaveri, li imbelleta qua e là, mestiere - questo del becchino - che gli si addice più che quello di poeta a cui è negato decisamente e a cui si nega. La porta è li sempre aperta, ma lui non vi entra e mai vi entrerà, nemmeno in sogno, poiché deve rendere conto al suo sollazzato pubblico, a una coscienza civile e sopratutto alla coscienza tout court, di cui è una mera derivazione; non può sporcarsi di una simile eresia. Questo passato passatista, questa puzza di cadaverina, ahi ahi!... Nessun de vu me scolta!
   Perché regna questo squallore democratico  dove ognuno ha il diritto d'esprimersi e di essere considerato poeta, artista? Anche Mario Totaro! Dio mio! Non c'è più religione! Spero sia un omonimo... Questa si chiama cultura: "l'arte di seppellire i vivi". Appena un tale entra nella smaniosa fregola di esprimersi, di colpo paffete! viene riconosciuto poeta, artista, a furor di popolo. Eliminando così il rischio della poesia. Prevenzione prevenzione, soprattutto!...  Guai ai vivi!...
   Caro Dario, anzi Diario, dato che non posso dialogare, ma solo cantare parole incomprensibili, mi viene detto da chissà cosa chissà come chissà quando chissà che... non so, non so che mi spiegare... Non è mai esistito un dialogo, nemmeno con sé stessi. Il dialetto supera il divario tra dialogo e monolgo, basta a sé stesso, non abbisogna di spiegazioni e di un metalinguaggio atto a definirlo. Ma il dialetto ha fatto il suo corso, non esiste più in quanto è sparita la civiltà contadina che lo teneva desto. Non può esistere nemmeno un rimpianto registrabile che si adegui ad hoc a ciò che non fu mai. La volta in cui finisce nelle mani del menestrello che ne canta le gesta, finisce anche la ventura del dialetto, schivo per sua stessa natura alla rappresentazione.

Arriva sempre il giorno, possibilmente prima del giudizio universale, in cui si deve rendere conto del proprio operato. A chi a cosa?... al nulla, al nada di San Juan de la Cruz. Dario un poeta?... divertente?... Non so se ridere o preoccuparmi, non so, non so... e si trattasse solo di insipienza. Purtroppo, il sapere agonizza nella bocca dell'enfiato spastico deliquio... Vae vivis!... Non contate su di me. Dis-fate questo smemorati di me... e di voi stessi soprattutto che vivete nella commemorativa quotidiana merda dei convenevoli, degli intrallazzi convenuti, dei circoli viziosi e viziati culturali, colonizzati dallo squallore e dalla volontà più becera, ancor più se sotto la dantesca infernata insegna di una bandiera politica, mai sfiorati dal dubbio di dis-fare, disfarsi, soprattutto di sé stessi, della missione civile... essere finalmente dimissionari a tempo pieno, di tutto e di tutti. Sono postumo, differito non sono per voi.

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