martedì 1 gennaio 2013

Villa Serena

Ecco un mio scritto risalente a più di decenni or sono, di un esperienza avuta più di un quarto di secolo fà, che riporto per intero quasi del tutto immodificato. Già d'allora avevo le idee confusamente (sic) chiare.
"La malattia più diffusa è la diagnosi"
Karl Krauss


«Volgiti 'n dietro e tien lo viso chiuso;
      ché se 'l Gorgón si mostra e tu 'l vedessi,
  nulla sarebbe di tornar mai suso».
Dante Alighieri

Villa serena, ingresso principaleUna volta, tanto tempo fa, ho avuto la sconsiderata idea di farmi ricoverare a Villa Serena, una clinica psichiatrica vicino Pescara. Pensavo che le cure di specialisti potessero essermi di giovamento per la mia malattia. Nel colloquio iniziale che ebbi con la dottoressa Sabatini ci fu un equivoco di fondo che mi portò diritto nel reparto per i malati cronici. Lei, come la usuale prassi impone in questi casi, cercava di acquisire un po’ di dati riguardo al motivo per cui volevo essere ricoverato, fare un po’ di anamnesi insomma. Gli raccontai un po’ della mia storia, ma purtroppo nel verbalizzare gli ho segnalato anche il tentato suicidio [1] accaduto tempo addietro.
   Non so se abbia capito male o, forse, se mi ero espresso male; pensava evidentemente, nella sua aurea distractas,  che avessi ancora in testa l’insana idea. Perciò mi fece accompagnare da un infermiere nel reparto anzidetto, non sapendo ingenuamente che di fatto mi stavano praticando un T.S.O. Mi sono trovato di colpo in mezzo a tutti quei malati di mente privato della libertà. Mi sentivo come se fossi piombato in una voragine, dentro un girone infernale non registrato da Dante nella sua Divina Commedia ma confermato da un matto del reparto che recitava ossessivo i versi:
"Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura
che la diritta via era smarrita"
    C’era di tutto lì dentro, persino tossicodipendenti (?), che facevano costoro là? Rappresentavano, coerentemente alla struttura psichiatrica un bel cavolo a merenda. M’incazzai come una belva e sferrai un calcio a una sedia facendola volare per alcuni metri; in qualche modo dovevo pur esprimere il mio dissenso nei confronti di questa situazione in cui mi venivo a trovare contro la mia volontà e, tra l’altro, per un errore di valutazione da parte della dottoressa Sabatini. Mi è rimasta, da quel momento in poi, proprio sul c... Silenzio! È inutile dire che se avessi manifestato dissensi o cercato di far capire che doveva esserci stato uno sbaglio sicuramente il personale avrebbe adottato la formula cautelare: "il paziente riferisce che..." sintetizzando quindi che stavo solo esprimendo uno mio sintomo paranoico.
   Gli infermieri mi presero con cura (forse perché non sapevano con chi potessero avere a che fare) e mi misero a letto facendomi una flebo con valium, per farmi addormentare. Non opposi resistenza poiché sapevo che non solo non sarebbe servita a niente, ma sarebbe stata addirittura controproducente; non mi sarei insomma guadagnato il "lasciapassare" dei dottori che finalmente mi avrebbero potuto finalmente far uscire via da lì.
    Ricordo che il reparto era molto affollato. Un ragazzo era in preda a un attacco logorreico, sparlava continuamente senza fermarsi mai; esternava quegli evidenti sintomi psicotici, come se si volesse liberare di tutte le parole del mondo, una vera mitragliatrice umana.
    Un altro ragazzo, molto più giovane, si masturbava davanti a tutti, lo sguardo era assente come se avesse un’anima spenta senza meta. C’era un uomo che agitava la testa roboticamente per tutto il giorno. Che macchina mostruosa era mai questa?     In tutta la sua crudeltà vedevo uno scenario di anime condannate. Non riuscivo a capire proprio chi poteva essere più pazzo: costoro o gli psichiatri che li detenevano. Urla bestiali da spaccare i timpani e provocare paura... paura di fare qualcosa di sbagliato che mi avrebbe distaccato per sempre dal mondo. Era veramente sconcertante. Forse non sarei mai uscito vivo da questo maledetto posto. Ero scombussolato. Il chiasso e la visione di quel che accadeva in quel posto mi provocava un caos mentale un senso di panico difficile da gestire. Avrei voluto essere cieco sordo.
    La psichiatria per curare il malato basta che lo porti all’inferno facendogli assaggiare un po’ di quell’orribile fuoco e poi se ne esce vivo, sicuramente non vi ritornerà più. Altro che scienza! la psichiatria! Le torture più inumane vengono chiamate cure. Scusate se mi ripeto ma la mia opinione di paziente psichiatrico (e non di medico castigamatti) è che: un malato avrebbe bisogno senza ombra di dubbio di un posto tranquillo dove poter riposare e recuperare le proprie energie mentali; avrebbe bisogno di essere compreso, aiutato in maniera disinteressata. Macché... Invece... La cassetta delle posate che servivano per far mangiare i pazienti era posta sopra il cesso. Un trattamento e un servizio che si possono usufruire solo in un albergo quattro o cinque stelle. Basta! Ero nauseato, depresso, terrorizzato... non sapevo cosa fare per poter uscire fuori da questo schifo. Soltanto stando lì dentro ti accorgi cos'è la follia: una terribile forma di emarginazione.
   Credo che se non avessi conosciuto e fatto amicizia con un altro ricoverato ci sarei rimasto a vita. Lui cercava di sdrammatizzare (era la negazione del dramma in persona), di distrarmi da questa brutta situazione. Aveva un intelletto assai vivace e andavamo così a zonzo fra quei pochi metri cubi di libertà. Mi disse che era stato internato perché aveva buttato dalla finestra la mobilia di sua madre, il televisore... ma non sua madre però. Era di Perugia... ricordo. Lo vedevo un po’ come Virgilio, una guida spirituale in quel caos infernale ed era veramente la notte della ragione.
    Eravamo chiusi lì dentro senza poter in nessun modo uscire. Per prendere una boccata d’aria ci toccava andare vicino a una finestra situata in un angolo del reparto opportunamente chiusa con sbarre di ferro. L’unico dottore che ricordo con simpatia era un certo Basile che un giorno passò la notte a dormire nel reparto. Una cosa che mi turbò molto erano gli infermieri che davano calci ai pazienti, specialmente ad uno, in mezzo alle gambe poiché tale matto, proprio quello che recitava versi della divina commedia, chiedeva loro questa cortesia, venendo espressamente e puntualmente esaudita. Dopo alcuni giorni passati reclusi là dentro ci fu concesso il permesso di uscire e avemmo così modo di conoscere l’assistente sociale, una donna, con cui io e il mio amico verbalizzammo la nostra esperienza raccontando ciò che accadeva nel reparto. Sembrava meravigliata, incredula. Il mio amico poteva apparire un po’ burlone nel suo eloquio ma poi, spostando lo sguardo su di me, la dottoressa fissò il mio volto, serio, ancora provato dall’esperienza e io non feci altro che confermare annuendo.
   C’è del marcio in Danimarca! Ricordo un ragazzo, più o meno della mia età, che praticava yoga, suonava il violino e conosceva bene la musica dei King Crimson; aveva l’aria dell’artista e mi sembrava una persona a posto. Che ci faceva qui dentro pensavo - fra me e me - che correzione possono apportare alla sua personalità? Anche lui condannato. Se la società condanna la psichiatria di certo non redime! Un paziente una volta mi raccontò una brutta storia. Alla morte di sua madre lui per il dolore e la disperazione si taglio i legamenti dei polsi e del ventre restando così curvato e con le mani paralizzate. Mi sentivo male per lui, provavo compassione... Ad un tratto mi guardò come se volesse avere da me una verità dalla mia risposta. Mi chiese: "quale è la parola più bella del mondo?" Ed io con le lacrime agli occhi gli risposi: "mamma!"
   Ci vorrebbe proprio una ‘madre’ che ci accudisca, ci educhi alla vita amorevolmente, ci faccia crescere sani ma qui siamo sotto il dominio di un ‘padre padrone’ un cerbero che ci smembra, ci tiranneggia. Fateci capire almeno, per favore, quali sono le nostre colpe per cui dobbiamo pagare questo prezzo. Dico a voi psichiatri!...
    Nessuna risposta. Per loro non esistiamo, scrivono la solita pappardella su dei fogli: "Il paziente riferisce che..." In mezzo a tutta questa confusione devono vivere, o meglio, sopravvivere gli psicotici. A questo punto non si deve più discutere ma guardare in faccia la realtà: L’inferno non penso si possa immaginare diversamente.
    È proprio vero, per guarire ci vuole proprio una struttura psichiatrica con tutti i suoi dotti ed eruditi cervelloni. Avranno studiato certamente all’università di Lucifero.

[1] In effetti, non si trattava di tentato suicidio. Volevo solo stordirmi usando gli psicofarmaci con lo scopo non propriamente ben chiaro di farmi ricoverare nel reparto termolese di "mamma psichiatria". E come si sa di mamma psichiatria ce n'è una sola.

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