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martedì 15 gennaio 2013

Prima legge della psichica: tutto si crea e tutto si distrugge

  Volumi e volumi, libri su libri, ma non siamo mai liberi di preservare la nostra salute. Ci sono enti creati appositamente per questo. La sua tutela viene dall' alto e la manna-ia cur-attiva scende dal cielo dove risiedono gli dei dell'Olimpo Medico Soccorrevole (OMS). Vedete come è facile creare dal nulla un ente. Basta volerlo, purché vi sia opportunità di guadagno. La falsa scienza, come quella incentivata dalle industrie, segue il motto "tutto si crea e tutto si distrugge". Insomma: fanno il cazzo del comodo loro. E noi, pollame della miseria, razzoliamo per un po' democrazia, ci arrabattiamo per la libertà, rivendicando alla politica il ruolo istituzionale per ottenerle.
   Leggo su Il Fatto quotidiano [1] che il Dsm (Diagnostic and statistical manual of mental disorders) [...], la bibbia degli psichiatri, , molto spudoratamente, è stato modificato "abbassando la soglia della malattia. Il che significa che molte più persone potrebbero essere considerate ‘malate’ e vedersi somministrare psicofarmaci: scatti d’ira, il dolore da lutto, le dimenticanze tipiche dell’età e mangiare in modo eccessivo potranno infatti essere considerati più facilmente sintomi o malattie mentali".
   Non è una novità. Pensiamo per es. all'ADHD e alla sua fin troppo abusata diagnosi. Su Wikipedia si legge che "il disturbo da deficit d'attenzione ed iperattività (ADHD) è un disturbo del comportamento caratterizzato da inattenzione, impulsività e iperattività motoria che rende difficoltoso e in alcuni casi impedisce il normale sviluppo e integrazione sociale dei bambini". È facile capire come possa essere sfruttata appieno questa definizione, ampiamente interpretabile clinicamente e diagnosticamente. Una volta creata la definizione, si crea dal nulla la malattia. Sei iperattivo, disattento? Allora abbiamo, noi industriosi farmaceutici, questa magnifica pilloletta che ti rimetterà a posto. Una pillola per tirarti giù (l'etichettamento) e una per tirarti su (la terapia). Sono qualità queste dell'iperattività e della disattenzione tipicamente umane, perché mai si deve ricorrere al farmaco appositamente studiato.
Non può essere forse un problema da risolvere psicologicamente?... Sarebbe anche più costoso, in quest'ultima ipotesi, considerate le parcelle degli analisti. Si obietterà che l'ADHD sia riconosciuta come malattia solo in alcuni casi evidenti, non altrimenti spiegabili. L'uso proprio, avallato e certificato dal DSM,  connesso ai referenti contenuti nel manuale medico, sempre più modificato e allargato da nuove invenzioni scoperte, ne giustifica la deontologia professionale. Siamo nel massimo della merda. E l'abuso, dove lo mettiamo?... L'abuso prima di tutto inizia con l'invenzione della malattia, prosegue con la diagnosi e la terapia specifica. È banale, è ovvio, lo so, ma la terapia è di fatto falsa in quanto si basa su una diagnosi di una malattia creata ad hoc.  L'ADHD non esisteva prima. Quindi due sono le cose o la si è scoperta o la si è inventata, cosa molto più verosimile. La società cambia molto nel tempo e produce "disturbi" adeguati secondo questi cambiamenti indotti. La popolazione mondiale aumenta sempre più, lo spazio vitale per gli individui diminuisce di conseguenza. Aggiungiamo l'inquinamento da smog, quello da rumore, ecc... Il mondo diventa sempre più invivibile e disturbato, senza regole rispettate e chi ne trae giovamento è l'industria dei farmaci che promette dovunque e comunque soluzioni magiche con la sua bacchetta magica a qualsiasi problema rilevato. È la magia che dal nulla crea, o, meglio interpreta la realtà a suo vantaggio. Invece di criticare, curare, riparare il sistema, ci si accanisce a trovare inghippi, magagne, nei suoi costituenti: le persone.
Anche in campo non prettamente psichiatrico, l'industria farmaceutica fà il suo bel lavoro, abbassando la soglia minima dei valori pressori o quella relativi all'insulina per il diabete, del colesterolo... Beh, non c'è che dire si danno un gran da fare. Da un giorno all'altro chi non era considerato malato, di colpo viene ad esserlo. Leggo anche su disinformazione.it in merito all'ipertensione che...
La definizione di pressione sanguigna alta [ipertensione], si è di molto allargata nel 2003, in modo da permettere alle case farmaceutiche di poter vendere farmaci pieni zeppi di effetti collaterali ad un buon 45.000.000 di persone in più. Dato che il Joint National Committee on Prevention, Detection, Evaluation and Treatment of High Blood Pressure – all’interno di un gigantesco giro di collusione con l’industria farmaceutica – ha deciso che dei valori di fatto relativamente bassi di pressione sanguigna erano diventati dei fattori di rischio cardiaco, di colpo – milioni di persone ed altri milioni a venire – si sono ritrovate etichettate come anormali e bisognose di trattamento per una diagnosi che non sarebbe mai esistita se quel comitato scientifico non si fosse mai riunito. (disinformazione.it )

   Tralasciando i casi specifici di vera disfunzione organica (percentuale irrisoria) dovuti ad effettiva malattia (e anche qui ci sarebbero dei distinguo da fare) e facendo riferimento a un discorso generale, possiamo dire che la psichiatria, senza possibilità di essere smentiti, crea malattie dal nulla, o, meglio, dagli umori, dall'istintività, dai rapporti interpersonali, s'intrufola dappertutto e in tutto ciò che riguarda la libertà emotiva delle persone. Addirittura adesso si avventura nel teatro del mondo, creando copioni di drammi, crea realtà. Ma questo è un discorso che andrebbe definito e valutato a parte. I panni sporchi si lavano in piazza, o meglio, in quel ricettacolo di sozzura ideologica e sistematica che è la psichiatria. Mai sognasse di dichiarare che ciò che non va è rintracciabile nel sistema che la tiene in piedi. Nessuno sputa nel piatto in cui mangia e vi mangia piuttosto bene direi, considerati gli introiti da capogiro. Il DSM è una vera porcheria. Parliamo di democrazia, di libertà, ma costoro che gestiscono questo squallido sistema speculativo sulla pelle della gente, non chiede permesso a nessuno, né procede in nome di questi valori illuminati, facendo leva sul fatto che la scienza non è comprensibile ai più. Ma quanti sono numericamente fra gli adepti professionisti in medicina consci veramente del sistema di sfruttamento della salute?... e quanti invece sono formattati all'obbedienza della regola monastica del convento?... La consapevolezza è una dote alquanto rara già nei laureandi, ma che per lo più svanisce allorché si entra nel tran tran del mondo del lavoro. Da allora in poi si ubbidisce (in quanto inconsci) al programma installato, in modo automatico.

  Se il DSM è una porcheria, il discorso non muta certo per l'OMS, questo dinosaurico ente supremo, questo deus ex machina della salute pubblica universale. 
   Ma la medicina o psichiatria che sia, dirà più di qualcuno, nonostante tutto, spesso serve, adducendo casi risolti, di guarigioni non ottenibili, il "se non fosse stato per... a quest'ora..." ecc... Certo, ma in che percentuale?... E siamo sicuri che i casi risolti siano dovuto proprio tutti alla scienza medica? Voglio essere buono. Nell'ottanta per cento dei casi è del tutto inutile e il più delle volte dannosa. A che serve poi guarire, se per una persona se ne fanno ammalare altre 10, abbassando eo ipso dei parametri già di per sé poco oggettivi stabiliti ad hoc. Inoltre, le persone che presume di curare non è forse spesso il sistema sanitario gestito da questa Signora asettica in camice, senza volto, che le ha fatte ammalare?... Stefano Montanari con un sorriso amaro nel suo libro divulgativo Il girone delle polveri sottili cita di un professore universitario che ammoniva i suoi studenti dicendo di ricordare sempre che (cito a memoria),"nonostante le vostre cure il paziente guarirà". Non è una boutade. Le guarigioni in effetti sono sempre autoguarigioni. Vedi omeostasi. Viene riportato anche che durante gli scioperi del personale medico, negli ospedali la mortalità diminuisce. La malasanità non è qualcosa di marcio dentro il sistema medico-farmaceutico, ma la sanità stessa. La malasanità dichiarata dai media è il caproespiatorio, come a dire: "guardate ci sono diverse cose che vanno male, è indiscutibile, lo ammettiamo e siamo noi stessi a denunciarle (quando l'evidenza è ormai sotto gli occhi di tutti) - vedi la coscienza della trasparenza! - ma per il resto è tutto OK". Ma è proprio il resto che non quadra. Basta vedere lo scandalo del vaccino antinfluenzale per H1N1. Questa è la vera malasanità. Quanti sono stati i medici a non avere prescritto il famigerato vaccino ai loro clienti?... La sanità è mala.
   Ancora sul Fatto quotidiano, in merito a questo "allargamento dei parametri che definiscono la malattia" a persone prima ritenute sane, certo dr. Allen dice che vi è “un conflitto intellettuale, non finanziario negli specialisti - beh, difficile a credersi -  che tendono a espandere le proprie aree di ricerca, e ad ignorare le distorsioni che possono verificarsi nell’applicare il Dms V nella pratica clinica reale”. Vabbè diamola per buona. Aggiunge poi lapalissianamente che... “le nuove diagnosi in psichiatria sono più pericolose di nuovi farmaci, perché da queste dipende la somministrazione o meno di farmaci a milioni di persone dai medici di base dopo una breve visita”. D'accordo Allen, ma per caso le vecchie diagnosi non sono state ugualmente pericolose? La diagnosi psichiatrica tout court non è pericolosa?... Non per chi la fà, è ovvio. E che dire delle consequenziali terapie?... Coma insulinico, elettroshock, lobotomia... La storia stessa della psichiatria ab origine è costellata di orrori.



[1] Salute, cambia la “Bibbia” di psichiatria: il dolore da lutto tra i sintomi - Il Fatto Quotidiano

giovedì 10 gennaio 2013

Il pifferaio (ritratto d'autore)

"Per fortuna io sono Jung e non un junghiano" - C.G. Jung

Carneade! Ma si può sapere chi è costui?...  questo signore tutto incravattato?... Bada a come osi, costui è un demonio della psichiatria, un  certo angelo decaduto malinconico che se la ride della verità rivelata. Malinconico, uhm... a vederlo non si direbbe, nevvero?... così ben paffuto. Un intoccabile, ragazzo, o, come direbbe il  maresciacallo romanaccio, suo compagnuccio di mer(en)da, "un sano de mente".

Ma perché dico io, costui ha tutto questo successo (vedi sue marchette), come poliziotto psichiatrico, e io mi ritrovo puntualmente sempre nel cesso delle attenzioni dell'istituzione psichiatrica?... perché?...
   Ho imparato che la psichiatria è di fatto una mera caterva di opinionismo sfrenato e vanagloriante,  contrabbandato come scienza, conchiuso nel suo dizionario termino-illogico impentrabile ai più. Hamletto dal cerebro protetto da cappa plumbea nozionistica accademica forgiata a mo' di preservativo d'acciaio imperforabile, questa sfinge eroica si dedica a cazzeggiare polifonie ofeliche in volumi e volumi, articoli vanicoli, convegni, scrofegni... Mai che ritegni il tempo di dedicarsi ai pazienti, suoi utenti-usati... Il tempo ce l'ha eccome!... quello di prescrivere una pillolina, qualche goccina psicofarmacotica e via col vento delle scorregge fischianti fuoriuscite dal soprano suo buco del culo. È la polifonia d'Ofelia, o Loffa per i fiutascorregge suoi seguaci. I colloqui prospettati dal buco superiore orale invece sono a pagamento, per il bene del paziente, s'intende, che, così pagando, prende autostima di sé parlando, come prescrive la regola maledettina ora et labora. Già maledizione di Dio, il lavoro, così inteso, oltre a permetterti di lavorare senza pensare per tutta la vita, servirà a pagare anche le marchette dello strizza-cervelli.  Vedi la chiarezza! Ma a chi la dai a bere Malconcio?...Tutti i libri e articoli che hai scritto e/o venduti non sono forse a nostre spese?...
Povera Ofelia, povera Lilì, ma l'arte e tanto grande e la vita è così breve!
Chissà perché il tempo mai non trovo... In musica si dice rubato, e già. Musica sono anche i dindi. Caro hamlettico cantore, la polifonia a più voci nei reclusori dei reparti psichiatrici chiusi e aperti che siano ve la de-scriverei io, psiconauta, a suon di note, caro caro il mio dottore che 'l magico piffero suoni.

martedì 8 gennaio 2013

Interdizione di fatto (fatti e misfatti) - 3

   Un freddo giorno di febbraio ("da soffocare il mondo decisamente"), con i campi ancora innevati, prima della caporetto dei pannelli fotovoltaici, venne a farmi visita (di controllo) una triade capitolina: tre donne. Il che equivale a triplice calamità. Disgrazia ancor più grave se si pensa che trattavasi di una psichiatra, un'assistente sociale mi sembra, e un'altra presentatasi in qualità di non so che. Furono mandate dall'ASL di Termoli (il che significa da Malinconico) per accertarsi delle mie condizioni psicofisiche, su richiesta di mia sorella per mezzo del suo avvocato.
   Questo è quanto mi viene riferito dal maresciacallo Scioli, romanaccio: "queste te le mande tua sorella". Li mortacci!... Li mortacci sua che so' anche i mia. La situazione era quella in cui mi si voleva far capire che il suo era un tentativo sororale di interdizione. A fin di bene, s'intende, suo. La faccenda non era e non è ancor oggi proprio così limpida sì come me l'hanno dipinta. Comunque venne a instaurarsi un colloquio tra l'informale e il pro forma, anche se per me ormai si tratta solitamente di monologo a una o più voci. Un dialogo fra sordomuti, se vogliamo. La situazione che si era creata, o meglio, che hanno voluto creare, in fin dei conti, era quella di non farmi parlare di mea sponte (vedi la sponte che ritorna|), ma in modo piuttosto velato, senza darlo a vedere (ma io lo vedevo, eccome!), quella di fare accertamenti sullo stato della mia salute psicofisica. Il maresciacallo, intanto, dopo sua esibizione esilarante da vero simul-attore per introdurmi alle dame, sbraitava al telefono con chi?... presumo volesse lasciare intendere che stesse parlando con mia sorella o con lo psichiatra Malinconico o quello di turno, chissà.
   Si fece poi passare la voce che il test di verifica fu un vero trionfo per il sottoscritto, in quanto, a dire addirittura del pubblico ufficiale (sì, proprio quello che non s'addrizza), avevo risposto bene a tutte le domande. E che stiamo a Lascia o raddoppia" per caso?... La psichiatra era di un'intelligenza modesta, diciamo, men che quella contenuta nel cerebroleso di una gallina. "Ma se ti hanno prescritto gli psicofarmaci in tenera età vuol dire che erano necessari". Certo, madame,  ma a chi? Non certo a me.
   Comunque, questa visita diciamo inaspettata ha le sue belle premesse. Il maresciacallo era venuto nei giorni precedenti diverse volte, per sondare le acque. Mi voleva fare un regalo a tutti i costi. Visto che mi trovavo senza corrente e senza luce, insisteva nel comprarmi una torcia, o un tipo di aggeggio ricaricabile manualmente. Viste le insistenze da monotono questuante, accettai il suo regalo: una penna che era anche una piccola torcia. L'ho sempre detto che le cose gratis sono le più costose. Poi da sconosciuti...(infatti lo conobbi allora). Lui, il maresciacallo era colui che doveva preparare la strada alle signore della visita di cui sopra. Un situazione da traviata, molto traviata, molto innevata, con tanto di fango per tutti, visitato e visit-attori. Stando all'accaduto, mia sorella avrebbe provato la strada dell'interdizione. Cosa non del tutto chiara, anche se mia sorella c'entra in pieno in tutta questa storia, comunque. Se si considera che questa visita di accertamento, consegue a l'altra di pochi mesi prima del tiro al faggiano (il sottoscritto) praticato da cacciatori mandatari... poi tutto l'andazzo compae-sano  generale... Ce n'è abbastanza da far impazzire una persona normale. Io per fortuna già lo ero... furibondo! Questo nel nevoso febbraio del 2011. Alcuni mesi dopo questa visitina, giacché mi era entrato nella capoccia un chiodo fisso che mi diceva qualcosa non quadrava in questa faccenda dell'interdizione, decisi di andare in caserma a chiedere il documento - ci doveva pur essere! caspiterina! -  che ha permesso di muovere questa macchina burocratica di controllo e verifica dello stato mentale del sottoscritto. Di fatto, non si può fare richiesta o tentata richiesta di interdizione a voce, o per sentito dire. Avrebbe dovuto esserci la prova scritta.  Fatto sta che il maresciacallo Scioli, colto di sorpresa, cercava, da gran volpone qual'è, di farmi decantare questa mia fisima, tergiversando e cercando distrazione per distrarmi, addirittura arrivando a promettere di farmi un regalo: una batteria da 100 A. Se la penna da lui regalatami mi è costata una visita psichiatrica, adesso, velatamente cercava di comprare il mio silenzio?.... Pensava di addormentarmi con  le sua loquacità. Ma tagliai corto. Marescia' 'cca nisciune è fesse! Se c'è stata richiesta di interdizione, ci deve essere una scartoffia da qualche parte. Non vi pare?... Sì, certo. Ma dove l'avrò messa?... Ah forse qui, in questo scaffale, forse là, non mi ricordo bene. "Eppure avete una buona memoria!" lo stuzzicavo... Cercando di togliersi d'impaccio, mi disse deciso, "ah ce l'hanno in comune, qui non è arrivato niente". Dajjè che se ricomincia! Vabbè, vado in comune. Per preventivarsi i comunali, almeno per una volta, non ebbero il tempo necessario; troppo breve era la distanza che separava la caserma dal municipio. Lo stesso smarrimento psico-sensoriale. Richiesta, ma quale richiesta?... Sì, ma, forse... La Graziaplena - una totò in gonnella in questa circostanza - con molta pacatezza mi disse esplicitamente: scusa se ti hanno fatto la richiesta d'interdizione... Tu dove sei nato? A Rosignano Marittimo, icche c'entra?... C'entra perché è lì che devi fare la richiesta per ottenere il documento che ti occorre.  Ma guarda che ancora ragiono. Concedo: sono matto ma non scemo. Ma se io da quasi appena nato non esisto più a Rosignano. Sono un extracomunitario per tale cittadina toscana. Cosa devo richiedere al suo comune?...  Insomma, come dire, mi fanno una multa a San Martino e secondo quando si può evincere dal s-ragionamento di costei dovrei pagarla a Rosignano... Incongruità, il tuo nome è donna... piena di grazia, il signore con te e io sono interdetto... Siamo nel mezzo della farsa. Se la racconti a un neonato quello schiatta dalle risate. Lo capisce anche lui ch'è una barzelletta. Non ho parole. La mattinata finisce tutta a tarallucci e vino e fra questo scaricabarile di competenze fra caserma e comune. Devi chiedere a quello a quell'altro, No, devi venire quando c'è il segretario, lui forse ne dovrebbe sapere qualcosa. Cazzo, ma solo io non so e non devo sapere niente! Per non perdere la mia "amicizia", il maresciacallo comprensivo, messo alle strette, mi chiese cinque giorni di tempo per reperire questo documento, questa lettera insomma. Per lui si trattava in effetti di trovare il tempo per  uscire dall'impasse che gli avevo causato con la mia improvvisa e inaspettata richiesta. Si trattava di prendere tempo. Scopro così per l'ennesima volta una progettualità, la solita, perpetrata nei miei confronti. Gli avevo rotto le uova nel paniere, per dirla in breve, a lui e ai suoi mandanti che tramano all'interno del sistema psichiatrico. Il giorno dopo, manco a farlo a posta, il maresciacallo, casualmente, guarda caso, si trova a passare per la strada che percorro di solito in bici dicendomi, "tutto a posto... ho trovato la lettera (in effetti erano due lettere), domani se vieni in caserma te la leggo". E così avvenne. Il giorno dopo mi lesse le due lettere, il nome delle tre dis-grazie psichiatriche, il nome dell'avvocato di mia sorella... Quasi mi veniva da gongolare, ma l'agognata richiesta, quella di poter avere una copia del documento non poteva essere soddisfatta a causa della prassi che in questi casi impone che... ecc. Allora metto l'avvocato. Ma dai chi te lo fa fare, spendi soldi, non ne vale pena, questua il maresciacallo... Ho messo di mezzo l'avvocato, quasi subito, ma il risultato fu che il documento in un batter d'occhio sparisce stranamente dalla caserma e finisce alla procura di Larino. Almeno questo è quello che mi viene riferito. Sono passati mesi, ora perché tutta questa fretta di insabbiare, di occultare? Vabbè che in Italia è diventato ormai norma... L'avvocato Maria Pia Licursi mi racconta che non può ottenere fotocopia documentale nemmeno alla procura di Larino poiché, da quando ha rilevato personalmente, ci sarebbe un processo in corso per scagionare mia sorella dall'"accusa per abbandono d'incapace" (che sarei io), avendo il giudice tutelare constatato immotivata la richiesta d'interdizione dal lei fatta pervenire tramite suo legale. Mi sembra un tour de force assurdo, ma è così. Absurda lex, sed lex. I processi in Italia durano anni, ecc... Fatto sta che questa faccenda dell'interdizione puzza di imbroglio e di manipolazioni psichiatriche e familiari a un miglio. Già avvertivo stretto il fetido fiato sul collo di quella piovra che per gli amici è Angelo, per me Malconcio.
   Una volta la psichiatria curava con l'elettroshock, il coma insulinico, la lobotomia, poi entrarono in commercio gli psicofarmaci, e, adesso, si comincia, a quanto pare, a creare realtà dal nulla.  Non si lascia scappare nulla, pur di esercitare il controllo su tutto ciò che si muove, su tutto ciò che vive.  Bisogna tranquillare.

Evidentemente il sistema psichiatrico ha compreso, in ritardo di secoli, che le persone in quanto maschere (non solo nell'etimo), non possono che recitare, creare situazioni teatrali, provarsi e riprovarsi nei loro continui drammi quotidiani, trovarsi a gestire e ad essere gestiti sulla scena del mondo. I discorsi si risolvono in monologo...
Out, out, brief candle!
Life's but a walking shadow, a poor player,
That struts and frets his hour upon the stage,
And then is heard no more. It is a tale
Told by an idiot, full of sound and fury,
Signifying nothing.
(Shakespeare, Macbeth)
   "La vita non è altro che un'ombra che cammina, un povero commediante che trascorre il suo tempo a impettirsi e agitarsi sul palco finché non s'ode più nulla. È la storia raccontata da un idiota, tutta strepito e furia, che non vuol dire niente".
   Siamo maschere per gli altri, ma anche per noi stessi. Le relazioni umane esigono capacità di fingere. Ma per fingere (bene) e riuscire nell'impresa di farsi prendere sul serio per quello che non si è, si finisce per fingere con sé stessi. È il gioco (o giogo) dello specchio. L'altro come riflesso. Io sono l'altro. Io sono come mi vedono gli altri. Io sono nella misura in cui sono per gli altri.
   La psichiatria così entra, o meglio permane protagonista nel teatro del mondo... come volontà e rappresentazione, o, in altri termini, come deus ex machina, controllando di fatto la funzionalità delle finzioni affinché restino adeguate allo statuto sociale. La psichiatria viene in tal modo a creare drammi, commedie, farse, tragedie... Diceva giustamente Antoine de Saint-Exupéry: "la realtà non si scopre ma la si crea".

martedì 1 gennaio 2013

Villa Serena

Ecco un mio scritto risalente a più di decenni or sono, di un esperienza avuta più di un quarto di secolo fà, che riporto per intero quasi del tutto immodificato. Già d'allora avevo le idee confusamente (sic) chiare.
"La malattia più diffusa è la diagnosi"
Karl Krauss


«Volgiti 'n dietro e tien lo viso chiuso;
      ché se 'l Gorgón si mostra e tu 'l vedessi,
  nulla sarebbe di tornar mai suso».
Dante Alighieri

Villa serena, ingresso principaleUna volta, tanto tempo fa, ho avuto la sconsiderata idea di farmi ricoverare a Villa Serena, una clinica psichiatrica vicino Pescara. Pensavo che le cure di specialisti potessero essermi di giovamento per la mia malattia. Nel colloquio iniziale che ebbi con la dottoressa Sabatini ci fu un equivoco di fondo che mi portò diritto nel reparto per i malati cronici. Lei, come la usuale prassi impone in questi casi, cercava di acquisire un po’ di dati riguardo al motivo per cui volevo essere ricoverato, fare un po’ di anamnesi insomma. Gli raccontai un po’ della mia storia, ma purtroppo nel verbalizzare gli ho segnalato anche il tentato suicidio [1] accaduto tempo addietro.
   Non so se abbia capito male o, forse, se mi ero espresso male; pensava evidentemente, nella sua aurea distractas,  che avessi ancora in testa l’insana idea. Perciò mi fece accompagnare da un infermiere nel reparto anzidetto, non sapendo ingenuamente che di fatto mi stavano praticando un T.S.O. Mi sono trovato di colpo in mezzo a tutti quei malati di mente privato della libertà. Mi sentivo come se fossi piombato in una voragine, dentro un girone infernale non registrato da Dante nella sua Divina Commedia ma confermato da un matto del reparto che recitava ossessivo i versi:
"Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura
che la diritta via era smarrita"
    C’era di tutto lì dentro, persino tossicodipendenti (?), che facevano costoro là? Rappresentavano, coerentemente alla struttura psichiatrica un bel cavolo a merenda. M’incazzai come una belva e sferrai un calcio a una sedia facendola volare per alcuni metri; in qualche modo dovevo pur esprimere il mio dissenso nei confronti di questa situazione in cui mi venivo a trovare contro la mia volontà e, tra l’altro, per un errore di valutazione da parte della dottoressa Sabatini. Mi è rimasta, da quel momento in poi, proprio sul c... Silenzio! È inutile dire che se avessi manifestato dissensi o cercato di far capire che doveva esserci stato uno sbaglio sicuramente il personale avrebbe adottato la formula cautelare: "il paziente riferisce che..." sintetizzando quindi che stavo solo esprimendo uno mio sintomo paranoico.
   Gli infermieri mi presero con cura (forse perché non sapevano con chi potessero avere a che fare) e mi misero a letto facendomi una flebo con valium, per farmi addormentare. Non opposi resistenza poiché sapevo che non solo non sarebbe servita a niente, ma sarebbe stata addirittura controproducente; non mi sarei insomma guadagnato il "lasciapassare" dei dottori che finalmente mi avrebbero potuto finalmente far uscire via da lì.
    Ricordo che il reparto era molto affollato. Un ragazzo era in preda a un attacco logorreico, sparlava continuamente senza fermarsi mai; esternava quegli evidenti sintomi psicotici, come se si volesse liberare di tutte le parole del mondo, una vera mitragliatrice umana.
    Un altro ragazzo, molto più giovane, si masturbava davanti a tutti, lo sguardo era assente come se avesse un’anima spenta senza meta. C’era un uomo che agitava la testa roboticamente per tutto il giorno. Che macchina mostruosa era mai questa?     In tutta la sua crudeltà vedevo uno scenario di anime condannate. Non riuscivo a capire proprio chi poteva essere più pazzo: costoro o gli psichiatri che li detenevano. Urla bestiali da spaccare i timpani e provocare paura... paura di fare qualcosa di sbagliato che mi avrebbe distaccato per sempre dal mondo. Era veramente sconcertante. Forse non sarei mai uscito vivo da questo maledetto posto. Ero scombussolato. Il chiasso e la visione di quel che accadeva in quel posto mi provocava un caos mentale un senso di panico difficile da gestire. Avrei voluto essere cieco sordo.
    La psichiatria per curare il malato basta che lo porti all’inferno facendogli assaggiare un po’ di quell’orribile fuoco e poi se ne esce vivo, sicuramente non vi ritornerà più. Altro che scienza! la psichiatria! Le torture più inumane vengono chiamate cure. Scusate se mi ripeto ma la mia opinione di paziente psichiatrico (e non di medico castigamatti) è che: un malato avrebbe bisogno senza ombra di dubbio di un posto tranquillo dove poter riposare e recuperare le proprie energie mentali; avrebbe bisogno di essere compreso, aiutato in maniera disinteressata. Macché... Invece... La cassetta delle posate che servivano per far mangiare i pazienti era posta sopra il cesso. Un trattamento e un servizio che si possono usufruire solo in un albergo quattro o cinque stelle. Basta! Ero nauseato, depresso, terrorizzato... non sapevo cosa fare per poter uscire fuori da questo schifo. Soltanto stando lì dentro ti accorgi cos'è la follia: una terribile forma di emarginazione.
   Credo che se non avessi conosciuto e fatto amicizia con un altro ricoverato ci sarei rimasto a vita. Lui cercava di sdrammatizzare (era la negazione del dramma in persona), di distrarmi da questa brutta situazione. Aveva un intelletto assai vivace e andavamo così a zonzo fra quei pochi metri cubi di libertà. Mi disse che era stato internato perché aveva buttato dalla finestra la mobilia di sua madre, il televisore... ma non sua madre però. Era di Perugia... ricordo. Lo vedevo un po’ come Virgilio, una guida spirituale in quel caos infernale ed era veramente la notte della ragione.
    Eravamo chiusi lì dentro senza poter in nessun modo uscire. Per prendere una boccata d’aria ci toccava andare vicino a una finestra situata in un angolo del reparto opportunamente chiusa con sbarre di ferro. L’unico dottore che ricordo con simpatia era un certo Basile che un giorno passò la notte a dormire nel reparto. Una cosa che mi turbò molto erano gli infermieri che davano calci ai pazienti, specialmente ad uno, in mezzo alle gambe poiché tale matto, proprio quello che recitava versi della divina commedia, chiedeva loro questa cortesia, venendo espressamente e puntualmente esaudita. Dopo alcuni giorni passati reclusi là dentro ci fu concesso il permesso di uscire e avemmo così modo di conoscere l’assistente sociale, una donna, con cui io e il mio amico verbalizzammo la nostra esperienza raccontando ciò che accadeva nel reparto. Sembrava meravigliata, incredula. Il mio amico poteva apparire un po’ burlone nel suo eloquio ma poi, spostando lo sguardo su di me, la dottoressa fissò il mio volto, serio, ancora provato dall’esperienza e io non feci altro che confermare annuendo.
   C’è del marcio in Danimarca! Ricordo un ragazzo, più o meno della mia età, che praticava yoga, suonava il violino e conosceva bene la musica dei King Crimson; aveva l’aria dell’artista e mi sembrava una persona a posto. Che ci faceva qui dentro pensavo - fra me e me - che correzione possono apportare alla sua personalità? Anche lui condannato. Se la società condanna la psichiatria di certo non redime! Un paziente una volta mi raccontò una brutta storia. Alla morte di sua madre lui per il dolore e la disperazione si taglio i legamenti dei polsi e del ventre restando così curvato e con le mani paralizzate. Mi sentivo male per lui, provavo compassione... Ad un tratto mi guardò come se volesse avere da me una verità dalla mia risposta. Mi chiese: "quale è la parola più bella del mondo?" Ed io con le lacrime agli occhi gli risposi: "mamma!"
   Ci vorrebbe proprio una ‘madre’ che ci accudisca, ci educhi alla vita amorevolmente, ci faccia crescere sani ma qui siamo sotto il dominio di un ‘padre padrone’ un cerbero che ci smembra, ci tiranneggia. Fateci capire almeno, per favore, quali sono le nostre colpe per cui dobbiamo pagare questo prezzo. Dico a voi psichiatri!...
    Nessuna risposta. Per loro non esistiamo, scrivono la solita pappardella su dei fogli: "Il paziente riferisce che..." In mezzo a tutta questa confusione devono vivere, o meglio, sopravvivere gli psicotici. A questo punto non si deve più discutere ma guardare in faccia la realtà: L’inferno non penso si possa immaginare diversamente.
    È proprio vero, per guarire ci vuole proprio una struttura psichiatrica con tutti i suoi dotti ed eruditi cervelloni. Avranno studiato certamente all’università di Lucifero.

[1] In effetti, non si trattava di tentato suicidio. Volevo solo stordirmi usando gli psicofarmaci con lo scopo non propriamente ben chiaro di farmi ricoverare nel reparto termolese di "mamma psichiatria". E come si sa di mamma psichiatria ce n'è una sola.

domenica 30 dicembre 2012

Interdizione di fatto (fatti e misfatti) - 1

Come già accennato precedentemente sul post Capitano mio capitano! (lettera aperta al signor 7x5), Dopo questo tentata intimidazione a suon di pallini iniziai a realizzare esterefatto e  a prendere atto delle palle attinenti conseguenti. Loro scopo fu quello diversivo, sbugiardatesi poi da sole. Delle vere sòle, direbbero a Roma. Il signor 7x5, sicuramente (poi vi spiego questa mia securtà) è implicato in siffatta spedizione intimidatoria. E almeno uno dei componenti di quella casa-famiglia, che è il municipio sanmartinense, ne sa qualcosa. Come dire i panni sporchi se li lavano in famiglia. E ce n'è da lavare! Con tutto il sudiciume che ivi impera! Sudiciume morale e deontologico s'intende. Quell'uno di cui sopra è riferito a un generico pubblico ufficiale storto che non s'addirizza e che somiglia a un albero esotico: plátano direbbero in iberica la penisola. Proprio lui. Il giorno stesso della fucilazione intentata, cercando di spiegargli dell'accaduto, minacciai a nessuno o a non so a chi di farmi il porto d'armi. Questo Pubblico Ufficioso preso alla sprovvista (non è un buon improvvisatore come lo è il maresciallo Mauro Scioli) storse un po' il naso, cominciò a tergiversare, aggiungendo poi molto sfacciatamente... "no...  ma quelli non verranno più là da te". Affermazione questa che si spiega e si condanna da sola. Quelli chi? Chi sono quelli? Sapeva benissmo il milite già prima che accadesse. Cerca di giocare a nascondino e poi si fà scoprire come un fessacchiotto. Beccato, se non sul fatto, almeno sul detto, Andai dunque in caserma per fare questa benedetta denuncia. Ebbi la sensazione kafkiana che il maresciallo a cui riferivo, non fosse un militare, ma addirittura uno psichiatra. Mi sentivo un po' come in un struttura psichiatrica in cui si parla del paziente in terza persona. Ho la mia bella esperienza a tal proposito. Il paziente riferisce che... ecc...   Spesso cose illegali quando vi ci mette lo zampino la psichiatria diventano, come per un colpo di bacchetta magica,  legali, o, almeno, non perseguibili. E il suo zampino vi fu, c'è e ci sarà sempre. Una battuta del maresciallo detta con tono professionale mi fece incavolare e iniziare a capire altre cose che esporrò in seguito... Costui, maresciallo o psichiatra che fosse, si permise di dire che probabilmente in mattinata, allora odierna, s'era potuto, guarda la coincidenza,  appollaiare, su uno dei rami dell'albero davanti la casettina un bel fagiano, che stimolò la libidine del tiro al bersaglio dei due cacciatori. Costoro, folgarati da tale visione, non avrebbero resistito al loro irrefrenabile impulso venatorio, e, non vedendo l'ora di infrangere le regole del codice, nonostante mi avvessero ben avvistato davanti l'uscio, spararono dunque proprio nella mia direzione. A ciò detto sbottai: "e che è 'na barzelletta?..." esclamai tra l'indignato e il divertito. Ecco cosa prescrive tra l'altro il codice:
Distanze dalle case. La caccia è vietata per una distanza di 100 metri da case, fabbriche, edifici adibiti a posto di lavoro. E' vietato sparare in direzione degli stessi da distanza inferiore di 150 metri.
Spari nei pressi delle abitazioni.
L'art. 703 del codice penale "Accensioni ed esplosioni pericolose" punisce penalmente chi in un luogo abitato o nelle sue adiacenze o lungo una pubblica via o in direzione di essa spara con armi da fuoco.
Non so se la dimora rurale (di proprietà di Totaro) possa essere considerata abitazione (uno sgabuzzino sì), ma come abitante della medesima, io ero ben visibile e se non si spara nei pressi delle abitazioni, ancor più la proibizione dovrebbe riguardare gli spari direzionati verso le persone che vi abitano e che si trovano casualmente o meno lì attorno.

Per farla breve. Ho capito, già da principio, che in questa faccenda vi erano implicate tanta della gentaglia sanmartinense, tra cui alcuni ben individuabili. Come ho detto nel post precedente: la società è mafia. Lo riconfermo. Chi paga per questo affronto?... Risposta: il crimine non pagherà. Certo, posso fare solo illazioni. Avessi le prove a quest'ora... chissà... Ma non ci vuole mica la zingara per indovinare l'accaduto. Il cerchio è sempre quello:
famiglia ↔ ambiente ↔ sistema di controllo (socio-psichiatrico)
Tutto si "fà a fin di bene", come direbbe il Signor 7x5 , quindi la possibilità che un individuo, di fatti controllato e perseguitato (altro che mania di persecuzione!), possa rifarsi legalmente è pressocché azzerata. On n'échappe pas à la machine (G. Deleuze). 
Questo sinteticamente quanto accaduto,

L'ho già detto. Lo scopo, mica tanto recondito, per cui viene realizzato tutto questo gran dispendio di risorse, di dispiegamento di forze più o meno armate, e chi più ne ha più ne metta, è quello di ricondurre il sottoscritto alla ragione, ovvero: farmi tornare con le buone o con le cattive alla casa in paese, ove una volta abitavo con mia madre bonanima. L'ho detto e lo ripeto che per fortuna di mamme ce nè una sola. Questo per inciso. A questa carenza mammestre, va da sé, supplisce ancora una volta il sistema, il quale, pur di controllarti e gestirti, si dà un gran bel da fare. Non c'è che dire. È ciò che si potrebbe definire interdizione di fatto, diversificandola dall'interdizione legale, che abbisogna per di più di tante ingombranti e spesso imbarazzanti scartoffie burocratiche. Quest'ultima ha la possibilità di poter essere impugnata da chi la subisce, addirittura può essere un arma a doppio taglio per chi la sostiene. La prima invece, non attuandosi a livello legale, non ha modo di poter essere smentita, in quanto esistono solo supposizioni da parte dell'interdetto, senza possibilità di impugnare alcunché. Non vi sono documenti, prove, né reati da condannare. A l'interdizione di fatto bisogna associare un doppio legame (double bind) per capirne meglio la funzionalità.
Attualmente, ma credo lo sia sempre stato, sono considerato di fatto incapace di intendere e di volere sia a livello di sistema pubblico che privato. Non ho potuto affrontare certe spese "esorbitanti" come l'acquisto di alcuni pannelli solari che mi avrebbero permesso di sopravvivere in campagna e in seguito quello di una roulotte. Non si vive di solo pane.
Mi sono rivolto al comune per l'installazione a mia spese di un pannello solare, subendo tutta una tiritera di rinvii e prese per il culo. Per farla breve ci ho speso più di sei mesi della mia vita. Il mio tempo, dato che il patreterno ce ne ha concesso ben poco, non ha nessun valore; può essere sprecato: giorni, mesi, anni, che importa?... Poi ho mandato tutti a cagare. Come al solito.
Un carabiniere competente, ben informato a tale proposito, mi dice affabilmente: "ma scusa, qual'è il problema? Lascia stare il comune. Tu per l'installazione ti rivolgi a un elettricista e te lo fai installare. Non vedo qual'è il problema. Felice della soluzione e nella mia ignoranza, non ho potuto che dargli ragione e seguirne così il consiglio. Cazzo, così semplice. E questi stronzi di comunali mi hanno fatto perdere tanto tempo. Bene. Anche se sentivo che qualcosa non andava. Ciò che è semplificato per un milite, per me si risolve in qualcosa di molto complesso e complicato, intricato, se non impossibile. Detto tutto. Sentivo puzzo di bruciato, Insomma, mi rivolsi al primo eletricista, elettrotecnico per la precisione, tale Giuseppe Marranno, e gli spiego a telefono questa mia richiesta, rimanemmo a livello informale di risentirci. Telefonai un giorno al suo ufficio, mi risponde la segretaria o non so chi, forse sua moglie, e le chiesi se potevo contattarlo. Comincia di nuovo la farsa. Mica mi può dare il suo numero di telefono? "Ma che scherzi! Non si può dare!" E ch'è un agente segreto per caso?... A un elettrotecnico il numero di telefono serve per avere contatti. E già. Contatti. Ma non con me. Insomma, accorciando il discorso, s'è rifiutato molto vigliaccamemente, di aver a che fare con il sottoscritto. Ritelefonai altre volte, ma la risposta della vocina cretina fu sempre la stessa: "ma non si può dare". Io sono trattato da deficiente, ma non lo sono. E senza fornire spiegazioni!
In un sistema mafioso, come in teologia, non si danno spiegazioni. Vedi sparatoria. Si spara, non ci si spiega. Dovunque ti giri senti odor di mafia. Ho fatto qualche sgarro per caso? Altro che! mormora il coro sommesso popolano.
Il mafio-comitato ha deciso la mia esistenza ed io non  devo fare cose imprevedibili, non previste dalle sue deliberazioni, come quello di comprare pannelli solari. Tu hai una casa in paese, è lì che devi stare, rifai l'allaccio della luce, dell'acqua, del gas e vivi da perfetto cristiano. "Ti sciaqqui, ti lavi". Ma cari io non ho bisogno di pulirmi: contrariamente a voi, sono sporco fuori ma pulito dentro, e non vado in giro ad impallinare la gente. Sta di fatto che questo non lo deciso io. Dunque, qui emerge questa ambiguita che io chiamo interdizione di fatto.  Sei libero di fare quello che vuoi, ma non puoi fare quello che vuoi. Se non è doppio legame questo! 
Provai anche con un altro elettricista. Tale Abiuso Giuseppe mio ex-compagno di classe alle elementari e medie. Affabile, venne addirittura in campagna, per vedere dove e come si potevano posizionare questi pannelli solari. Sarò un malfidato, ma non mi fidavo, nonostante la ragionevole gentilezza e cordialità. Tra l'altro, la sua ambivalenza si rivelò con l'affermare che i pannelli fotovoltaici sarebbero riusciti a utilizzare la luce solare, anche quando il sole passa all'orizzonte, facendo il gesto con la mano verso sud. Il sole non può passare all'orizzonte a queste latitudini. Vabbè, lasciamo stare l'ignoranza. Gli volevo anticipare dei soldi. Soldi?... per carità! Mi tranquillizzò dicendomi di non preoccuparmi. Deontologia professionale! Al momento dell'ordinazione, e solo allora, mi avrebbe chiesto un anticipo. Data prevista per l'arrivo del kit di panneli fotovoltaici 20 aprile. Arriva il 20, passa, 21, 22, 23... Telefono per chiedere spiegazioni. Delucidandomi a tale proposito, mi dice che c'è stata una forte richiesta di pannelli e quindi le varie ditte si trovano al momento sprovviste. Arriveranno comunque in giornata, sai sono "giorni balordi" questi. Giorni, mesi, anni, secoli. Balordi. Basta. Per fortuna non possediamo l'eternità. Il vero balordo sono io che mi son fidato. So come funzionano le cose in paese,  e così ho dato una giusta scadenza alla cosa, giusto per regolarmi. Gli dico: tu dici arrivano in giornata, io aspetterò fino al 20 di maggio. Un mese di tempo circa, caspita! Non so se l'ha irritato questa mia pretesa, ma l'intero mese di maggio passò e non rimase traccia alcuna dell'elettricista e delle sue promesse. Bravo. "Compagno di scuola, compagno di niente". Sono ancora  qui a fantasticare sulla mia autonomia, ormai si può solo fantasticare, visto che la realtà ti rifiuta, rifiuta le tue esigenze, le quali vengono puntualmente stabilite dal mafio-comitato. Ormai è passato più di un anno e mezzo. Interdetto di fatto e non elettrificato.

Attualmente ho rifatto il riallaccio della corrente nella casa in paese, con il solo scopo di poter utilizzare il computer. I paesani gongolano. Il Signor 7x5 mi ha predetto che ci sarei ritornato, ma non ha previsto che non ci rimarrò per molto. Cerco così di recuperare il tempo perduto. Anche la memoria in questo periodo di isolamento ha subito un forte ribasso. Un terremoto. Una vera desolazione. Bisogna esercitarsi, nonostante la lupara puntata alla tempia. Questo è tutto per oggi, paese mio.

Stanno giocando a un gioco.
Stanno giocando a non giocare a un gioco.
Se mostro loro che li vedo giocare,
infrangerò le regole e mi puniranno.
Devo giocare al loro gioco, di non vedere che vedo il gioco.
Ronald David Laing                            
Si pensa ogni volta, ingenuamente, di poter gestire la propria vita (ma sarebbe più opportuno parlare di sopravvivenza), invece si viene gestiti. È questa la realtà: la vita non la si vive ma, più correttamente, viene vissuta.

venerdì 4 dicembre 2009

Introduzione

Non ci stimiamo più abbastanza quando apriamo il nostro cuore. Le nostre vere e proprie esperienze vissute non sono affatto loquaci. Non potrebbero comunicare se stesse neppure se volessero. Questo perché manca loro la parola. Le cose per le quali troviamo parole, sono anche quelle che abbiamo già superato. In ogni discorso c'è un granello di disprezzo. La lingua, a quanto sembra, è stata inventata soltanto per ciò che è mediocre, medio, comunicabile. Con il linguaggio, chi parla già si volgarizza - Da una morale per sordomuti e altri filosofi. (Friedrich Nietzstche)

   Pensare è un arte, ma un arte difficile. La difficoltà primaria nasce dai condizionamenti e dall'assuefazione del pensiero al preconcetto. Esso non può, così condizionato, fare altro che esprimere pregiudizi e, cosa non meno importante, dobbiamo tenere conto della nostra natura animale che è la natura stessa del pensiero. Come animali siamo parenti stretti delle scimmie e dei cani. Avete mai visto un cane o uno scimpanzé fare un discorso, sviluppare un concetto, esprimere un giudizio o un opinione? Ecco che la comunicazione del pensiero diventa "informazione" finisce solo per comunicare l'esteriore, il non animale, ciò che non è vero, ciò che è falso contrariamente all'illusorietà iniziale del pensiero stesso che si credeva capace nelle sue intenzionalità di comprendere o di essere compreso. Così ci adeguiamo a credere alle nostre "bugie".    La comunicazione non esiste se non come fraintendimento, come smarrimento. L'intento che si credeva capace di comprendere e misurare, presumendo in buona malafede (sic) di riferire il di-scorso ("mai appartenente all'essere parlante")  smarrisce miserevolmente  il suo dis-onesto proposito. La comunicazione vive nel suo stesso paradosso: è incapace di comunicare. Ed ecco che essa cede il passo all'informazione . Si viene in-formati secondo l'ottica di sistema.  
   Lo stereotipo, il cliché, il preconcetto, il senso comune, le formalità, placano la nostra sete di verità, ci fanno sentire al sicuro ed immuni dalla "malattia del pensare", troppo laboriosa e troppo stressante per la nostra irrinunciabile indole animale. (Carlo Giordano)


Senza ragione - Documentario antipsichiatrico - 1 di 6

Scrivere un libro che spieghi razionalmente in modo comprensibilmente chiaro il mio modo di pensare è una faccenda per me virtualmente "straordinaria". Essendo io "prevalentemente" un artista (non essendo portato al concetto e alle spiegazioni) mi trovo così a scrivere e sviluppare per così dire un linguaggio con un lessico e regole grammaticali di una "lingua" che "non conosco", come potrebbe essere per esempio quella cinese. Ne farei volentieri a meno, starei in silenzio, senza dire o scrivere una parola, anche per anni, ma da questo mutismo qualcuno potrebbe dedurre ad hoc un consenso non dato.

Chi sta ai margini vede ed è costretto a vedere cose che chi è pienamente dentro il sistema non può, non riesce, non vuole o finge di non vedere. In questa zona di frontiera mi ritrovo così: solo, emarginato, amareggiato ma certamente con più libertà di movimento. Esprimo le mie riflessioni riguardo alle strutture e le funzionalità di sistemi sociali, economici e specialmente psichiatrici. Non sono uno specialista (per fortuna) dei vari settori e di conseguenza posso commettere certamente errori di terminologia, magari non riuscirò ad esprimere bene qualche concetto. E' un problema?... No, non ce ne cale un fico secco!

La "denuncia" comunque va fatta affinché almeno qualcuno impari meglio a distinguere l’oro da tutto quello che sembra così luccicante e scontato. Scusate la presunzione, ma si impara insegnando. Almeno una persona imparerà: io. Viceversa: insegnerò imparando.

Quello che appare o vuole presumibilmente apparire come verità scientifica in talune scienze dis-umane, purtroppo come la psichiatria, rappresenta in effetti solo l'espressione di un ideologia di sistema. Il linguaggio dovrebbe giustamente esprimere un qualcosa, comunicare un pensiero, uno stato d’animo, ma ha invero dentro di sé tendenzialmente un modo di procedere e svilupparsi, diciamo per così dire, con un certo significato autonomo rispetto alla realtà presumibilmente oggettiva che si vuole esprimere. Si sviluppa in questo modo una realtà parallela autonoma diversa, fittizia, avulsa dal contesto che si vuole svelare e possibilmente in aperto contrasto con questo. Una realtà oggettiva per poter rivelare la sua essenza deve essere, paradossalmente, ipoteticamente priva di linguaggio oppure si ammetterà che: esiste un metalinguaggio ad hoc che la possa esprimere pienamente in modo obiettivo. "L'intento non corrisponde  all'esito" (Carmelo Bene). Sarebbe opportuno considerare la conferma di J. Lacan sul linguaggio ovverosia il "discorso non appartiene mai agli esseri parlanti". Noi non disponiamo attivamente del linguaggio ma lo subiamo passivamente. Non agiamo ma siamo agiti. Siamo nell'atto. Il linguaggio insomma è dotato di autonomia rispetto ai dicenti. "Mentre diciamo siamo detti" (Carmelo Bene).

Questa autonomia di linguaggio per esempio può, in qualche modo, essere sfruttabile da chi sa ben parlare in modo coerente e chiaro; una inevitabile deformazione professionale. Questa tendenza autonoma del linguaggio è "utilizzata" dagli psichiatri. Automaticamente, solo per il fatto che una persona si trova di fronte ai loro occhi, scatta la deformazione. La mente dell’analista analizza il "malato", lo deforma, lo cataloga, lo ricovera, fa la diagnosi e prescrive la cura. In effetti ciò che conta non è "quello che pensa o sente il malato ma quello che il dottore pensa e fa nei suoi confronti".
- Il dialogo viene ad essere sostituito col monologo autoritario del linguaggio professionale e dal potere sociale che lo delega - . Si capisce bene che un tale linguaggio creato, dalla categoria della maggioranza, azzittisce qualsiasi dissenso e si istituzionalizza democraticamente come dittatura autonoma (sic). Non è discutibile poiché il linguaggio già codificato non può essere contraddetto da un qualsiasi altro tipo di linguaggio poché scadrà inevitabilmente nell'incomprensione, nell'emarginazione, nel dimenticatoio, magari provocherà reazioni repressive, ecc. Il malato, a torto o a ragione, non può mai negare il linguaggio normale che lo emargina. Non ne uscirà più fuori se non a pezzi.

Si è dato verosimilmente un significato estraneo ed estraniante che non appartiene alla realtà oggettiva del soggetto e della sua malattia, ma che resta verità virtuale, estorta tramite un potere occulto , gestito da fanatici gregari e tutelato dal sistema. Altresì, come nel linguaggio, così in ogni sistema e/o struttura si innesta una similare autonomia che possiamo chiamare anche: vizi di sistema o vizi strutturali. Singoli individui creativi si troveranno sempre in difficoltà nell’interrelazione con essi, poiché i sopraddetti avranno tendenza a contrastare fortemente ogni azione creativa e modificativa nei loro confronti (ogni atto creativo è implicitamente sempre destabilizzante). Inversamente possono implicitamente o esplicitamente adottare come autodifesa misure cautelative, restrittive o punitive di sistema. Dunque unità "piccole, mobili, intelligenti" (Fripp) e creative vengono viste come una implicita minaccia destabilizzante. Sviluppare una strategia di sopravvivenza è una condizione quindi necessaria e indispensabile; per un qualsiasi vero artista , che per definizione è creativo tutto ciò diventa imperativo. Se, secondo questi presupposti, il malato e la sua malattia venissero tollerati, intercettati come istanze creative e non come forme o forze involutive o distruttive si attuerebbe in questo modo una rivoluzione senza precedenti. La psichiatria in questo modo perderebbe il suo significato autonomo, ambiguo, incomprensibile e il suo ruolo s’invertirebbe scambiandolo con quello della sua utenza, poiché sarebbe essa stessa malata (come in effetti lo è). Ma come può un sistema istituito per uno scopo negare se stesso insieme allo scopo?

In una società come la nostra viviamo perennemente legati a sistemi e strutture che formano attorno a noi una prigione dalla quale ci è impossibile fuggire. L’arte è pura evasione, salutare: porta verso la libertà.

L’arte viene anch’essa vista come una costante implicita minaccia per le strutture di sistema, che hanno solo coerenza di sistema ma non di verità. La legge li tutela. Si può allora dire certamente che legalità non sempre è sinonimo di giustizia. Se la prima è fatta per dettare norme che incentivano la normalità e scoraggino e/o reprimono l’anormale, la seconda può essere solo vista come appannaggio di un ipotetico tribunale presieduto da Dio. La Fede in questo caso potrebbe essere intercettata in modo coerente come una vera e propria malattia.

La legalità di per se stessa può essere invero percepita da un artista come una ingiusta punizione, imposta, senza aver commesso il fatto. In questo caso il reato (sic) è già stato acquisito come prova: "sfuggire" alla norma è già di per se condannabile. A questo punto possiamo stabilire due valori e significati diversi, ma correlati e compatibili fra loro, per il significato di legalità. Il primo, e il più ovvio, è quello che razionalmente, comprensibilmente, facilmente si può desumere ed acquisire da leggi, codici e regole varie. Il secondo è intuibile ma non espressamente circoscritto e/o definibile, deducibile da accadimenti non visibili al primo ma indotti dal sistema ottuso che non può, per l’espletamento della sua funzione che mirare al suo scopo. I "due significati" non si escludono ma si sostengono a vicenda. Di conseguenza diamo questo doppio significato a tutte le parole ambigue come: norma, normalità, dissenso, malato, sano, cura, terapia, emarginazione, ecc.

Documentario antipsichiatria "la vena d'oro" video 1

il cannocchiale

domenica 29 novembre 2009

La scienza medica

"Avviene ciò che è avvenuto nei manicomi di tutto il mondo: liberi di agire senza alcun vincolo né morale, né etico, né tantomeno legale, gli psichiatri hanno pensato, realizzato e gestito dei grandi campi di concentramento con il fine di punire, controllare e far cambiare idea a persone che, in un modo o nell’altro, trasgredivano le leggi scritte e non scritte su cui si fonda il nostro vivere civile. Il fine esplicito della psichiatria sembra quello di trasformare le persone, tenendo conto non delle loro personali intenzioni e volontà, ma delle esigenze di chi sta loro intorno.
In questo senso credo si possa dire che non c’é uso della psichiatria che non sia in sé un abuso". (G. ANTONUCCI)

1.Ogni sistema si fissa al momento del suo inizio.
2.Una volta stabilito, il primo scopo di un sistema contraddirà lo scopo per la quale è stato creato: per esempio, il suo primo scopo diviene l'auto-perpetuazione.
3.Ogni sistema stabilito percepisce un elemento creativo come una implicita minaccia, poiché un elemento creativo incrementa il pericolo, e così la possibilità di un cambio all'interno dello status quo. (Robert Fripp)

Vorrei sollevare delle obiezioni riguardo a degli assiomi della scienza medico-psichiatrica. Tralasciando la questione spinosa dell’utilità o meno degli psicofarmaci.

- Il malato deve essere curato per guarire.
- I sintomi sono indizio di alterazioni mentali.

Poniamo altri due assiomi discordanti con i suddetti.

- Il malato guarisce da solo.
- I sintomi sono l’inizio di un abreazione, di una catarsi.

Perché non potrebbero essere validi i secondi? Cos’è che dà la certezza alla classe medico-psichiatrica di giudicare una persona, un essere umano, dai sintomi? Il sapere scritto sui libri? L’esperienza quotidiana del contatto diretto con i pazienti? Parlare della mente è ben altro che reputare scienza dei concetti e degli usi che oggettivano una qualità non definibile, non quantificabile.

La psicologia non è una scienza esatta, anzi né scienza, né esatta. La psicologia è ideologia: un mezzo di controllo sociale. Orbene, poniamo che una psicoterapia duri un certo lasso di tempo, al termine del quale l’analizzato risulterà guarito. La stessa distanza di tempo l’avrebbe guarito senza l’intervento dell’analista?

La psichiatria giudica il malato ma non se stessa. In effetti l’unico giudizio sicuro che si possa esprimere è proprio quello nei riguardi della psichiatria perché è un oggetto, ha un sua obiettiva realtà storica e concettuale. Le varie correnti di pensiero delle varie scuole hanno poi, molto spesso, una vistosa discordanza fra loro nelle teorie e nei metodi applicati. Si insegna a giudicare, si impara a controllare. I docenti di psicologia vengono analizzati per anni, educandoli, facendoli poi diventare giudici e difensori implacabili della norma.

Se i sintomi sono un processo dinamico di una abreazione, di una reazione a un trauma, perché non lasciarli scorrere nella loro giusta direzione naturale, spontanea, invece di soffocarli con le cure? Perché intervenire se non si conosce, né si può del resto conoscere, la soggettività del malato? Le cure non potrebbero allora peggiorare lo stato di salute del paziente?

linguaggio e metalinguaggio


La psichiatria vuole essere un metalinguaggio che spiega altri linguaggi, atteggiandosi a mo’ di vertice gerarchico di ogni possibile forma di comunicazione verbale o no. La psichiatria spiega l’arte. L’arte si piega al suo sapere e alla sua ignoranza. La psichiatria spiega cos’è la passione o l’amore e la passione o l’amore si piegano alla sua volontà e al suo presunto sapere. Come fare a spiegare cosa sia la psichiatria se è essa stessa la spiegazione di tutto? Bisogna piegarsi alla sua ignoranza, al nostro protettore. Dovrei comunque finire in un modo o nell’altro per essere "spiegato" o "piegato" secondo la prassi consueta del "il paziente riferisce che..." (Carlo Giordano)

[...] Un dialogo è qualcosa in cui si capita, in cui si viene coinvolti, del quale non si sa mai prima cosa ne ‘salterà fuori’, e che si interrompe non senza violenza, perché c’è sempre ancora d’altro ancora da dire... Ogni parola ne desidera una successiva; anche la cosiddetta ultima parola, che in verità non esiste. (Hans-Georg Gadamer)

"Ciò che nel linguaggio meglio si comprende non è la parola, bensì il tono, l'intensità, la modulazione, il ritmo con cui una serie di parole vengono pronunciate. Insomma la musica che sta dietro le parole, la passione dietro questa musica, la personalità dietro questa passione: quindi tutto quanto non può essere scritto. Per questo lo scrivere ha così poca importanza". (Friedrich Nietzsche)


La norma fa valere il suo potere tramite un linguaggio suo pertinente che spiega ogni altro linguaggio e cioè: la norma diventa meta-linguaggio che spiega e sovrasta ogni altra forma di comunicazione che non sia quella sua pre-definita. Similarmente si può dire che la politica, per es., diventa un modo per "comprendere" il mondo, sottomettendolo al suo potere specifico; quindi il "linguaggio" politico si veste di "metalinguaggio", sostituendo ogni altro possibile forma di linguaggio. La risoluzione dei problemi, trova sempre la sua soluzione nel Potere e nel potere che ha il linguaggio della norma politica di "definire". Qualsiasi problematica che non può essere risolta sul piano del presunto "metalinguaggio della norma" (politico o altro) rimane ignorata dal "sistema". E’ insomma una "forma normale" di in-globalizzazione di istanze divergenti che nel "metabolismo" siffatto omologante vengono eliminate in vario modo. Gli esempi adducibili che riguardano la preponderanza del metalinguaggio della norma sono innumerevoli. Obiettivamente esso non è un vero e proprio metalinguaggio ma semmai è un "usurpazione" del suo significato dovuto alla "dittatorialità" insita nella norma stessa. Quindi sarebbe più conveniente chiamarlo "pseudo-metalinguaggio". La norma ingloba in sé non in senso obiettivo-oggettivo ma in senso possessivo egoico. Un altro esempio pratico, senza andare troppo per il teorico, ci è offerto dal mass-media televisivo che già di per sé promuove lo "pseudo-metalinguaggio della norma", vuoi nel sistema di informazione, vuoi nella pubblicità e programmazione varia.
Se ci soffermiamo sul genere dello sceneggiato poliziesco ci accorgiamo che la "vita sociale" si svolge sotto l’egida dell’"attività di polizia" la cui funzione è quella di ordinare, di far rispettare le regole, di reprimere "tendenze anomale" e controindicate dal codice civile o penale che sia. Quindi possiamo dedurre che il linguaggio del genere poliziesco diventa un "metalinguaggio" che cerca di spiegare il mondo e la sua "funzionalità" soltanto rapportandolo a sé stesso. Avviene insomma una vampirizzazione di valori, qualità, tendenze, processi, il cui "significato" viene filtrato secondo l'ottica del "regime poliziesco" e del suo linguaggio. In effetti se ci fosse stato uno genere per così dire del delinquentesco il "risultato" sarebbe stato identico anche se in senso opposto. La norma quindi ha diversi canali di comunicazione; oserei aggiungere che invero ce li ha tutti. Così allo stesso modo avviene per il telegiornale che si "pro-pone" come metalinguaggio, come notizia che spiega il fatto, e il fatto di certo non farà il contrario. La norma, in qualsiasi modo si esprima, sostituirà sempre con la sua "forma" autoritaria del suo "linguaggio" ogni altra possibile e diversa forma di comunicazione. Ritornando al genere poliziesco si constata la bontà di certi valori più o meno esplicitamente espressi, come quello del "senso della realtà" e "senso della giustizia" filtrati secondo la codificazione del rispettivo genere. Il senso dei "valori indotti" vengono così ad avere un "imposizione univoca" che va dalla norma verso e contro un probabile e possibile "dissenso". Questo è quello che io definirei "regime della comunicazione" o "dittatorialità del linguaggio della norma". Un altro esempio di una forma di dittatorialità del linguaggio ci è offerto dal sistema psichiatrico. Terribile!...

Il "regime di comunicazione" in quest'ambito specifico spiega a suo modo, concomitante alla visuale e ai canoni più generali del regime societario, la "realtà" e il suo senso, che non può essere ovviamente "opinabile" tramite qualsiasi altro "linguaggio divergente" o "malato", poiché la "norma psichiatrica" stessa spiega e piega , essendo insignita e riconosciuta come "metalinguaggio", ogni altra possibilità comunicativa. Le opinioni, come in questo caso, di una "maggioranza" (che ha forza, potere o necessità di imporre la sua visuale) diventano così inesplicabilmente dittatura. Allo stesso modo l’arte, che dovrebbe essere un "metalinguaggio effettivo", viene ad essere sostituita nella "spiegazione del mondo" dalla "logica della norma" sia o no
"psichiatrica". L’arte verosimilmente non può ovviamente, in una simile condizione, spiegare o comprendere la psichiatria ma accade soltanto il contrario, e cioè: l’arte (non codificabile) viene a subire una comprensione(compressione), una censura e una distorsione significativa del suo senso e nel suo scopo da parte della codificazione psichiatrica e della sua opera pianificatrice per il controllo sociale.
Si assiste al paradosso, assurdo, che un "metalinguaggio effettivo", quale può essere quello dell’arte, venga "spiegato" e piegato da un "linguaggio".

E’ ovvio che solo un metalinguaggio potrebbe spiegare un linguaggio e non viceversa, a meno che non si instaura una "dittatura della comunicazione" in senso inverso ed è ciò che pratica di routine la norma.

sabato 28 novembre 2009

Reparto


"La psicanalisi e quella malattia mentale di cui ritiene essere la terapia." (Karl Krauss)

SCENE DA UN MANICOMIO

Guardato a vista,
ormai sono nella lista;
sono un teppista, un artista,
non buono da rac-comandare.


Vorrei condurre un buon argomento
ma poi me ne pento: il muro non risponde.


Il filo logico del discorso
è che mi hanno fatto finire in un fosso
poi di corsa al pronto soccorso e recluso
dentro il carcere che chiamiano reparto.
Mi hanno asportato tre quarti della mia volontà,
un quarto già mi mancava.
Adesso però non c’è più.
Dicono che il reparto
è fuori adesso: il controllo
della polizia è più totale. (Carlo Giordano)


   Una delle cose più impressionanti del vecchio reparto psichiatrico termolese è la sua ubiquazione. Stava situato vicino alla sala mortuaria; la sua struttura sembrava come un sotterraneo dove seppellire i morti psichici. Un muro correva lungo le finestre in modo che l’unica possibilità di vedere il mondo e un poco della sua luce veniva resa vana. Appariva (quasi simbolicamente) come l’immagine esatta riflessa allo specchio di ciò può essere (e in effetti è) la psichiatria. Nel girone infernale dei dannati psichici mi muovevo stancamente in cerca di una guida spirituale  che mi desse forza d’animo per proseguire nel cammino. Ho continuato a scoprire orrori che non bisognerebbe mai rivelare ai diavoli addetti ai lavori.

   I dottori passavano la mattina per l’orario delle visite, scambiavano qualche parola con i pazienti e poi parlavano fra loro della terapia da adottare per ogni caso specifico. Essa consisteva esclusivamente nella somministrazione, inevitabile per il paziente, di psicofarmaci, il cui unico scopo alla fine è quello di intontirlo, rubandogli un po’ di vitalità e di iniziativa personale. I colloqui con l’utenza venivano invece somministrati a gocce oppure, in modo più abbondante, a pagamento. Ma poi, diciamolo pure, i dottori come persone sarebbero abbastanza bravi se non fosse per il fatto che sono degli psichiatri:servi del sistema dunque.

   I sintomi sui quali basano la loro diagnosi vengono sistematicamente occultati con la cura farmacologica. Non si cerca fino in fondo di capire il perché di quelle manifestazioni ma la tendenza dominante nei reparti psichiatrici è quella di eliminare la malattia azzerando la sintomatologia.

    L’essere umano con la sua dignità, il suo modo d’essere e di pensare vengono messi, nella migliore delle ipotesi, in secondo piano. Certo è che la struttura del reparto, così come si presentava, non era il posto più adatto per un portatore di disagio mentale, insomma non era un inno alla vita trovarsi lì, fra quelle mura, insieme ad altre persone che espiavano le loro pene.

    Sicuramente la società è molto sbrigativa nel giudicare chi almeno all’apparenza sembra essere così diverso dagli standard normali. In psichiatria avviene lo stesso però in maniera più distaccata e  adottando un lessico che faccia apparire più scientifico l’approccio considerato curativo.

    Ammesso che le cure servono a far guarire il malato, gli errori, che si possono inevitabilmente commettere per una diagnosi sbagliata ai danni di questi, chi li paga? Nel cosiddetto fenomeno di malasanità un paziente psichiatrico non può in nessun modo avvalersi dei suoi diritti. Chi lo potrebbe in effetti tutelare per gli errori commessi non essendo questi così chiaramente individuabili? I medici non di certo. La mente, essendo oltretutto un entità astratta, è difficilmente afferrabile e definibile sul piano scientifico, contrariamente a quanto fanno invece gli psichiatri che però ovviamente si avvalgono di questo fatto nascondendovi così la propria limitatezza ed ignoranza. La diagnosi in fondo è solo un giudizio di valore (un opinione dunque) che si dà al malato e alla malattia in base a presupposti giudizi di valore acquisiti.

    Se tutto ciò viene spacciato come scienza quale opinione può contrastarla? Chi può competere con questo modo di giudicare e catalogare le persone utenti-usate? I malati non sono certamente quelli più indicati e attendibili. L’ignoranza delle persone del nucleo familiare non può fare naturalmente nulla contro lo strapotere del sapere scientifico così ben solidamente strutturato e acquisito. E, ciliegina sulla torta, non esiste nessun sindacato che difenda i diritti dei portatori di disagio mentale. Paradossalmente chi potrebbe veramente giudicare, a tutti gli effetti il sistema psichiatrico, è proprio il malato stesso che ovviamente non ha dalla sua parte né il sapere scientifico dei sapienti dottori che si presume sappiano; né il sistema interno psichiatrico che lo reclude e lo emargina; né la famiglia che non sa o forse non ne vuole sapere; né il sistema esterno a cui presumibilmente da fastidio in un modo o nell’altro. E oltretutto non ha nemmeno più un briciolo di volontà e di intenzionalità poiché ciò è considerato comodamente parte integrante della mallattia.