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venerdì 18 gennaio 2013

Divergenza - bilancio

 L'arte come esperienza extra-ordinaria che nel normale diventa ordinaria follia

  Il bilancio di questi miei oltre 10 anni di silenzio, evitando una mera valutazione di carattere valoriale (positivo-negativo) mi dà la possibilità di poter dire di aver espresso una verità lapalissiana eterna.
Giunto è già ’l corso della vita mia,
con tempestoso mar, per fragil barca,
al comun porto, ov’a render si varca
conto e ragion d’ogni opra trista e pia.
Onde l’affettüosa fantasia
che l’arte mi fece idol e monarca
conosco or ben com’era d’error carca
e quel c’a mal suo grado ogn’uom desia...

 Michelangelo Buonarroti

  Eterna, che brutta parola! Sia aggettivata che sostantivata. Ma nella realtà dei fatti, la società, come già sufficientemente spiegato, è rimasta appunto "da per sempre" in un rapporto divergente verso il diverso. Questa è l'eternità del dilemma, insolubile, poicché il sistema per funzionare deve reprimere la divergenza, annullarla, ecc...
  Si tratterebbe della "politica dell'esperienza" che il sistema societario cerca di gestire a proprio vantaggio, annullandone l'unicità del fenomeno, dando a tutti la stessa categoria di appartenenza.
  Un modo per non ri-conoscerci come "esperienza" a dispetto della propaganda marzulliana mezzassonnata di "un modo per capire, per capirsi..."
   Io non posso fare esperienza della tua esperienza. Tu non puoi fare esperienza della mia esperienza. Siamo entrambi persone invisibili. Ogni uomo è invisibile all'altro. Esperienza questa che si è soliti chiamare Anima. L'esperienza come invisibilità dell'uomo per l'uomo è allo stesso tempo più evidente di ogni altra cosa. Solo l'esperienza è evidente. L'esperienza è la sola evidenza [...]
   Anche i fatti diventano fantasie senza modi appropriati di vedere "i fatti". Non abbiamo bisogno di così tante teorie ma piuttosto dell'esperienza che è la fonte della teoria. Noi non restiamo soddisfatti con la fede, nel senso di un'ipotesi ritenuta irrazionalmente non plausibile: chiediamo di fare esperienza dell'"evidenza". Noi vediamo il comportamento delle altre persone, ma non la loro esperienza. Ciò ha portato alcuni a ritenere che la psicologia non ha niente a che fare con l'esperienza dell'altra persona, ma solo con il suo comportamento. Il comportamento dell'altra persona è una delle mie esperienze. Il mio comportamento è un'esperienza dell'altro...
(R.D. Laing, La politica dell'esperienza)
  Intanto si bypassa il problema dell'unicità dell'esperienza confondendola a bella posta con la scorza esteriore del comportamento, credendo in tal modo di dare visibiltà al non visibile, di dare per scontato ciò che non lo è affatto: questo è ciò che si potrebbe definire etichettamento: imbalsamazione da vivi, sepoltura prematura. Si seppelliscono i vivi per riesumare i morti. La vita non è mai scontata se non la sua pena.


sabato 12 dicembre 2009

Il capitale-macchina

Liberismo è il mercato libero, il libero scambio di merci. Ciò che fa fruttare i capitali. Nel suo aspetto estremo la mercificazione riguarda tutto e tutti. In questo sistema libertino, più che liberale, conta il capitale, e chi vi predomina è colui o coloro che dispongono di maggiore ricchezza e dunque che riescono più a far circolare la merce e la moneta. Capitalismo e democrazia sono due antitesi. Non vi può essere democrazia effettiva con il capitalismo, poiché la maggioranza viene sfruttata e non può essere mai sovrana, come suol dirsi. Il paradosso è che non vi può essere nemmeno democrazia a sé stante, poichè questa rappresenta solo un'astrazione e non una realtà di fatto. In qualsiasi sistema, come in quello naturale, predomina il più forte, il più intelligente, il più scaltro, ovvero chi riesce a controllarlo e a sfruttarlo nel suo complesso. La legge della jungla, appunto. Non vi sono altre alternative. La nostra o le nostre democrazie occidentali sono e possono essere soltanto democrazie capitalistiche. Chi non è capace di produrre ricchezza, ovvero, chi non riesce o non vuole o non può far circolare le merci, o ancor più non abbia la capacità di mercificare tutto e tutti, resta relegato ai margini, escluso, recuperato semmai, in qualche modo, come prodotto di consumo, da reinserire dunque nel mercato libero; ma libero il mercato lo è per una minoranza che controlla il resto e fa funzionare il sistema. Questo è asettico e privilegia il capitale, la legge quindi del più forte, di chi è senza scrupoli. Non c'è dunque da stupirsi se, in un sistema come questo, predominano, lo sfrutamento umano, la povertà in vaste regioni del mondo, la propaganda e lo smercio di prodotti nocivi, quali per esempio farmaci per malattie inventate ad hoc dall'industria farmaceutica, la pornografia, pedofilia, la contraffazione, la corruzione, la mafia, e chi più ne ha più ne metta. La visione che si presenta è quella di un'eterna lotta per la sopravvivenza, con alti e bassi, che gira attorno a due poli ideali, a volte apparentemente in contraddizione, a volte in equilibrio instabile ma, in effetti, funzionali all'apparato complessivo: il capitale e il sistema (democratico o dittatoriale che sia). Per usare un paragone, il capitale potrebbe essere rappresentato dal carburante e il sistema dalla macchina. La sua funzionalità esula dall'ideologia che ne potrebbe soltanto compromettere il funzionamento; ogni sistema creato(si) è autarchico e per forza di cose è dedito allo sfruttamento.

La condizione umana (condizionata da questo apparato infernale) è quella di sfruttati e sfruttatotri, con ampie fette di follia, ovvero incapacità a sottostare a questi due limiti imposti come categoria pre-definita dalla macchina-capitale.

sabato 5 dicembre 2009

Il commercio è l'anima della politica

La politica viene agita dal sistema economico. In un sistema istituzionale, la democrazia (governo della maggioranza) può realizarsi o può averne soltanto la parvenza solo a livello politico, non a livello economico. La politica soggiace alle leggi e agli interessi economici. Quindi se politica è uguale a democrazia, otteniamo che l'economia è uguale a dittatura. Un'equazione del potere o meglio una sperequazione a favore di quest'ultima. L'economia prescrive la politica da attuarsi, il che vuol dire che un sistema istituzionale in realtà può essere solo apparentemente democratico, ed infatti esso è dittatoriale, anche se opportunamente velato, edulcorato, oscurato e contrabbandato altrimenti dai mezzi di (dis)informazione, in mano sempre al potere economico, più che politico, e, comunque, informano sempre di ciò che vogliono ed hanno interesse a far sapere.

Per esempio all'industria del vaccino, a quella dei farmaci e psicofarmaci in generale, ecc., quale opposizione democratica (di base, popolare o governativa) può contrastarla?... Nessuna. Non c'è contraddittorio, non vi è una opposizione effettiva. La ricerca scientifica (finanziata dall'industria), con tanto di egregi divulgatori specialistici in camice bianco, fa da garante alla bontà del prodotto propinato. Se si decide per la messa in commercio di un prodotto farmaceutico, ci deve essere già pronta per l'uso una bella malattia da curare, altrimenti bisognerebe inventarla ad hoc. La commercializzazione e l'informazione del prodotto è a senso unico, dal produttore al consumatore. Quest'ultimo non ha mezzi per ribattere e rimane così assoggettato, incapace di reazioni critiche, di autodifesa immunitaria, e del resto come può opporsi a una martellante campagna pubblicitaria che propaganda il benessere e la sua salute? L'industria dei farmaci con la salute non ci campa. Più malato è l'utente-usato, più sana e in perfetta salute è l'industria che lo cura.

Ci vorrebbe un sistema democratico applicato anche all'economia. Ma questa, per sua stessa natura, svicola, è furba, gira su se stessa e, a quanto pare, non ne vuole sentir parlare né di gestione né di partecipazione democratica sia essa popolare o governativa. Il sistema economico influisce sulla politica da attuarsi ma, in un certo qual modo, resta comunque avulso da questa, e quindi funziona in modo autoreferenziale.

venerdì 4 dicembre 2009

Introduzione

Non ci stimiamo più abbastanza quando apriamo il nostro cuore. Le nostre vere e proprie esperienze vissute non sono affatto loquaci. Non potrebbero comunicare se stesse neppure se volessero. Questo perché manca loro la parola. Le cose per le quali troviamo parole, sono anche quelle che abbiamo già superato. In ogni discorso c'è un granello di disprezzo. La lingua, a quanto sembra, è stata inventata soltanto per ciò che è mediocre, medio, comunicabile. Con il linguaggio, chi parla già si volgarizza - Da una morale per sordomuti e altri filosofi. (Friedrich Nietzstche)

   Pensare è un arte, ma un arte difficile. La difficoltà primaria nasce dai condizionamenti e dall'assuefazione del pensiero al preconcetto. Esso non può, così condizionato, fare altro che esprimere pregiudizi e, cosa non meno importante, dobbiamo tenere conto della nostra natura animale che è la natura stessa del pensiero. Come animali siamo parenti stretti delle scimmie e dei cani. Avete mai visto un cane o uno scimpanzé fare un discorso, sviluppare un concetto, esprimere un giudizio o un opinione? Ecco che la comunicazione del pensiero diventa "informazione" finisce solo per comunicare l'esteriore, il non animale, ciò che non è vero, ciò che è falso contrariamente all'illusorietà iniziale del pensiero stesso che si credeva capace nelle sue intenzionalità di comprendere o di essere compreso. Così ci adeguiamo a credere alle nostre "bugie".    La comunicazione non esiste se non come fraintendimento, come smarrimento. L'intento che si credeva capace di comprendere e misurare, presumendo in buona malafede (sic) di riferire il di-scorso ("mai appartenente all'essere parlante")  smarrisce miserevolmente  il suo dis-onesto proposito. La comunicazione vive nel suo stesso paradosso: è incapace di comunicare. Ed ecco che essa cede il passo all'informazione . Si viene in-formati secondo l'ottica di sistema.  
   Lo stereotipo, il cliché, il preconcetto, il senso comune, le formalità, placano la nostra sete di verità, ci fanno sentire al sicuro ed immuni dalla "malattia del pensare", troppo laboriosa e troppo stressante per la nostra irrinunciabile indole animale. (Carlo Giordano)


Senza ragione - Documentario antipsichiatrico - 1 di 6

Scrivere un libro che spieghi razionalmente in modo comprensibilmente chiaro il mio modo di pensare è una faccenda per me virtualmente "straordinaria". Essendo io "prevalentemente" un artista (non essendo portato al concetto e alle spiegazioni) mi trovo così a scrivere e sviluppare per così dire un linguaggio con un lessico e regole grammaticali di una "lingua" che "non conosco", come potrebbe essere per esempio quella cinese. Ne farei volentieri a meno, starei in silenzio, senza dire o scrivere una parola, anche per anni, ma da questo mutismo qualcuno potrebbe dedurre ad hoc un consenso non dato.

Chi sta ai margini vede ed è costretto a vedere cose che chi è pienamente dentro il sistema non può, non riesce, non vuole o finge di non vedere. In questa zona di frontiera mi ritrovo così: solo, emarginato, amareggiato ma certamente con più libertà di movimento. Esprimo le mie riflessioni riguardo alle strutture e le funzionalità di sistemi sociali, economici e specialmente psichiatrici. Non sono uno specialista (per fortuna) dei vari settori e di conseguenza posso commettere certamente errori di terminologia, magari non riuscirò ad esprimere bene qualche concetto. E' un problema?... No, non ce ne cale un fico secco!

La "denuncia" comunque va fatta affinché almeno qualcuno impari meglio a distinguere l’oro da tutto quello che sembra così luccicante e scontato. Scusate la presunzione, ma si impara insegnando. Almeno una persona imparerà: io. Viceversa: insegnerò imparando.

Quello che appare o vuole presumibilmente apparire come verità scientifica in talune scienze dis-umane, purtroppo come la psichiatria, rappresenta in effetti solo l'espressione di un ideologia di sistema. Il linguaggio dovrebbe giustamente esprimere un qualcosa, comunicare un pensiero, uno stato d’animo, ma ha invero dentro di sé tendenzialmente un modo di procedere e svilupparsi, diciamo per così dire, con un certo significato autonomo rispetto alla realtà presumibilmente oggettiva che si vuole esprimere. Si sviluppa in questo modo una realtà parallela autonoma diversa, fittizia, avulsa dal contesto che si vuole svelare e possibilmente in aperto contrasto con questo. Una realtà oggettiva per poter rivelare la sua essenza deve essere, paradossalmente, ipoteticamente priva di linguaggio oppure si ammetterà che: esiste un metalinguaggio ad hoc che la possa esprimere pienamente in modo obiettivo. "L'intento non corrisponde  all'esito" (Carmelo Bene). Sarebbe opportuno considerare la conferma di J. Lacan sul linguaggio ovverosia il "discorso non appartiene mai agli esseri parlanti". Noi non disponiamo attivamente del linguaggio ma lo subiamo passivamente. Non agiamo ma siamo agiti. Siamo nell'atto. Il linguaggio insomma è dotato di autonomia rispetto ai dicenti. "Mentre diciamo siamo detti" (Carmelo Bene).

Questa autonomia di linguaggio per esempio può, in qualche modo, essere sfruttabile da chi sa ben parlare in modo coerente e chiaro; una inevitabile deformazione professionale. Questa tendenza autonoma del linguaggio è "utilizzata" dagli psichiatri. Automaticamente, solo per il fatto che una persona si trova di fronte ai loro occhi, scatta la deformazione. La mente dell’analista analizza il "malato", lo deforma, lo cataloga, lo ricovera, fa la diagnosi e prescrive la cura. In effetti ciò che conta non è "quello che pensa o sente il malato ma quello che il dottore pensa e fa nei suoi confronti".
- Il dialogo viene ad essere sostituito col monologo autoritario del linguaggio professionale e dal potere sociale che lo delega - . Si capisce bene che un tale linguaggio creato, dalla categoria della maggioranza, azzittisce qualsiasi dissenso e si istituzionalizza democraticamente come dittatura autonoma (sic). Non è discutibile poiché il linguaggio già codificato non può essere contraddetto da un qualsiasi altro tipo di linguaggio poché scadrà inevitabilmente nell'incomprensione, nell'emarginazione, nel dimenticatoio, magari provocherà reazioni repressive, ecc. Il malato, a torto o a ragione, non può mai negare il linguaggio normale che lo emargina. Non ne uscirà più fuori se non a pezzi.

Si è dato verosimilmente un significato estraneo ed estraniante che non appartiene alla realtà oggettiva del soggetto e della sua malattia, ma che resta verità virtuale, estorta tramite un potere occulto , gestito da fanatici gregari e tutelato dal sistema. Altresì, come nel linguaggio, così in ogni sistema e/o struttura si innesta una similare autonomia che possiamo chiamare anche: vizi di sistema o vizi strutturali. Singoli individui creativi si troveranno sempre in difficoltà nell’interrelazione con essi, poiché i sopraddetti avranno tendenza a contrastare fortemente ogni azione creativa e modificativa nei loro confronti (ogni atto creativo è implicitamente sempre destabilizzante). Inversamente possono implicitamente o esplicitamente adottare come autodifesa misure cautelative, restrittive o punitive di sistema. Dunque unità "piccole, mobili, intelligenti" (Fripp) e creative vengono viste come una implicita minaccia destabilizzante. Sviluppare una strategia di sopravvivenza è una condizione quindi necessaria e indispensabile; per un qualsiasi vero artista , che per definizione è creativo tutto ciò diventa imperativo. Se, secondo questi presupposti, il malato e la sua malattia venissero tollerati, intercettati come istanze creative e non come forme o forze involutive o distruttive si attuerebbe in questo modo una rivoluzione senza precedenti. La psichiatria in questo modo perderebbe il suo significato autonomo, ambiguo, incomprensibile e il suo ruolo s’invertirebbe scambiandolo con quello della sua utenza, poiché sarebbe essa stessa malata (come in effetti lo è). Ma come può un sistema istituito per uno scopo negare se stesso insieme allo scopo?

In una società come la nostra viviamo perennemente legati a sistemi e strutture che formano attorno a noi una prigione dalla quale ci è impossibile fuggire. L’arte è pura evasione, salutare: porta verso la libertà.

L’arte viene anch’essa vista come una costante implicita minaccia per le strutture di sistema, che hanno solo coerenza di sistema ma non di verità. La legge li tutela. Si può allora dire certamente che legalità non sempre è sinonimo di giustizia. Se la prima è fatta per dettare norme che incentivano la normalità e scoraggino e/o reprimono l’anormale, la seconda può essere solo vista come appannaggio di un ipotetico tribunale presieduto da Dio. La Fede in questo caso potrebbe essere intercettata in modo coerente come una vera e propria malattia.

La legalità di per se stessa può essere invero percepita da un artista come una ingiusta punizione, imposta, senza aver commesso il fatto. In questo caso il reato (sic) è già stato acquisito come prova: "sfuggire" alla norma è già di per se condannabile. A questo punto possiamo stabilire due valori e significati diversi, ma correlati e compatibili fra loro, per il significato di legalità. Il primo, e il più ovvio, è quello che razionalmente, comprensibilmente, facilmente si può desumere ed acquisire da leggi, codici e regole varie. Il secondo è intuibile ma non espressamente circoscritto e/o definibile, deducibile da accadimenti non visibili al primo ma indotti dal sistema ottuso che non può, per l’espletamento della sua funzione che mirare al suo scopo. I "due significati" non si escludono ma si sostengono a vicenda. Di conseguenza diamo questo doppio significato a tutte le parole ambigue come: norma, normalità, dissenso, malato, sano, cura, terapia, emarginazione, ecc.

Documentario antipsichiatria "la vena d'oro" video 1

il cannocchiale

mercoledì 2 dicembre 2009

Biografico

Nacqui sotto il presagio di una cattiva stalla (sic). Mio padre si sposò con mia madre, ovviamente, come era usanza allora. Correvano voci per il paese (allora molto più piccolo e certamente ancor più s-pettegolo di adesso) che mio padre non sarebbe stato capace di assumersi il peso di una famiglia e il ruolo che gli competeva; ciò lo ha reso di certo ancora più indispettito e caparbio di carattere. Non per niente la razza annoverava componenti molto duri e decisi. Nel proprio ruolo di padre-marito-padrone, mio nonno, per esempio, non lesinava di bastonare mia nonna, anche per piccole sciocchezzuole. Tenace e risolutivo senza ripensamenti. Orbene, bisogna precisare che il periodo  storico in cui i promessi sposi stavano per fare il loro illecito passo (illecito poiché non si sono assunti l'onere di chiedere il parere ai figli che avrebbero da quel tristo evento dovuti  nascere) era quello in cui stava terminando la seconda guerra mondiale. Fame, miseria e stenti erano all'ordine del giorno. Quindi, mio padre forgiò il suo carattere in base alla nostra razza e alla necessità impellente del periodo storico. Si adattava a fare di tutto. Insomma mio padre cominciò ad essere stimato dai compaesani, stima che conservò.
Mia madre invece aveva un carattere complementare (fallimentare). Cercava di ammansire l'orco di mio padre. Era molto remissiva e cercava poi di sfogare altrimenti la sua repressione. "Ve lasce com'e pezzejende e me ne vajje!..." era la frase terribile che spesso rivolgeva a noi figli; io l'ultimo arrivato a mettere scompiglio nella casa, spaurito, mi ritrovavo così solo, abbandonato a me stesso, accovacciato, davanti casa, malaticcio, sotto il sole stordente, in atteggiamento meditabondo.  «Tu ce n'i cólepe!...» urlava mio padre contro mia madre, quando veniva a constatare che lei si adoprava di soppiatto a risollevare i propri figli dall'incubo del padre-padrone, sia moralmente che materialmente. Mio padre esigeva dai figli il dovuto: «Questa case ce chiame porte e chi ne porte reste fore da porte...» Crudele come la vita. Mi ricordo che abitavamo in quattro (mia madre, mio padre, mio fratello ed io) in un locale di 3,5 x 4 metri,
pressappoco. Non c'era pavimento e non c'era il bagno, ma soltanto un cesso (buco) con la mattonella sopra per i bisogni impellenti. Nel paese, le condutture per l'acqua ancora non c'erano e perciò veniva distribuita tramite gli acquaioli che provvedevano per il suo prelievo e il conseguente trasporto e distribuzione, dietro un modesto compenso. Il matrimonio non sembrava un matrimonio felice. Ma era una condizione normale... anche a
quei tempi.
   Mi rivedo, infante (3 - 4 anni), sopra un carro insieme a mio padre cercando di avere una risposta ai miei perché. «Papà!... ma 'u sole de San Martine è come quille de Portocannune?...» Stizzito, mi rispose malaccio e cercò  di farmi capire la mia idiozia.

    Spesso mi ammalavo, ero fragile di costituzione. All'età di sei anni (facevo la prima elementare) finii in ospedale per quaranta giorni circa, a causa della vaccinazione  scolastica. Ritornato a scuola, il maestro Ciambrone mi chiedeva cosa avessi mai avuto. Non sapevo cosa dirgli, quale fosse la malattia per cui ero stato ricoverato. Meningite, encefalite a quanto pare. Ero sempre introverso; agli occhi altrui avrei dato certamente l'immagine della tristezza personificata. Una ragazza delle elementari, più o meno della mia stessa età, mi chiese una volta (disinvolta) «ma tu perché piangi sempre?... » Io non piangevo mica. Quello era il mio aspetto ordinario: taciturno e triste. Provai amarezza e vergogna... perché era l'unica faccia che avevo e non potevo
mica cambiarla come fosse un vestito.
   Mi ritrovo così alla terza elementare, imbastito con l'abito della prima comunione... suor Matilde tuonava con voce altisonante, minacciando l'inferno per coloro che non hanno timor di Dio. Le minacce non erano solo paterne ma anche divine, adesso. Un aneddoto curioso e divertente mi capitò alla prima confessione. Il confessore mi poneva delle domande: «hai fatto questo?... » Ed io un po' vergognoso, timidamente rispondevo (cercando involontariamente e no di sminuire) «a volte si e a volte no!...» Notavo l'imbarazzo del prete ma non riuscivo a capirne il perché. Cercava di farmi rispondere in maniera più consona e netta: «si o no?» Ma io ad ogni domanda del «Hai fatto questo?...» Rispondevo sempre «A
volte si e a volte no...
» Comunque la prima e l'ultima comunione mi venne acconsentita.

domenica 29 novembre 2009

La polizia del luogo

Avverto sempre la stessa sensazione quando attraverso le strade del mio paese, a piedi con la macchina o in bicicletta. Mi sembra di essere guardato da tanti occhi che giudicano severi ogni mia mossa, ogni mio gesto. In effetti la gente guarda! non penso che sia solo una sensazione; il paese è piccolo, la gente mormora, le strade parlano, le case confermano... Persone poi che stanno seduti lì, davanti ai bar, senza far niente (probabilmente non sanno fare niente) e che esternano il loro pre-giudizio. Come dice un detto paesano: "se passa un cane a cui gli si è staccata la coda, loro gliela riattaccano".

Dal loro sguardo intuisco che esiste una polizia del luogo invisibile ma pericolosissima, proprio perché non si vede, che sta lì a controllare se procede tutto secondo la norma: il loro modo di pensare fa trasparire, oltretutto, uno scarso quoziente di intelligenza. Sentirsi giudicati e condannati per una colpa additata è il leitmotiv costante che mi angoscia, quella di essere diverso, di fare l'artista, di pensare con la mia testa, di non essere propenso a scendere a compromessi.

Questi mostri che sparlano entrano perciò nella testa delle vittime e (a me personalmente ci sono rimasti per anni) attraverso gli occhi o le orecchie e devastano così sistematicamente tutta la testa del soggetto e ogni altra cosa personale. La privacy viene violata! Ma, dico io!... perché non vi fate un po’ i cazzi vostri! Scusate ma ci voleva proprio!

C’è una lotta furibonda, senza tregua, dentro di me, un vile modo di ragionare oltraggia una sensibilità, un intelligenza artistica, vuole sostituirla con la sua. Un angoscia terribile! che lascia senza respiro, non più tollerabile, e che io sopporto da anni. Sono come gli sguardi di Medusa, pietrificano dalla paura, e, in effetti, sono proprio spaventosi. Così, stando male, per questa loro invasione, li faccio felici. Di tanto in tanto, quando riesco ad avere la meglio, ad essere me stesso, restano contrariati e si arrabbiano molto, cercando in tutti i modi di avere una rivalsa. Però essendo loro poco intelligenti, impegheranno parecchio tempo prima di riorganizzarsi di nuovo per potere poi sferrare, (i maledetti!) un nuovo attacco.

Ormai ho già predisposto le mie difese: L’ironia. Ho imparato che sono allergici al riso così quando cominciano a rompere i coglioni faccio: ah, ah!... una bella risata e non si contano nemmeno ormai più i morti.

Le parole

AMLETO: Per quale uomo stai scavando?
PRIMO CLOWN: Per nessun uomo, signore.
AMLETO: E per quale donna, allora?
PRIMO CLOWN: Per nessuna.
AMLETO: Chi deve essere seppellito lì dentro?
PRIMO CLOWN: Qualcuno che era una donna,
signore. Ma, pace all’anima sua, adesso è morta.
AMLETO: Quant’è meticoloso questo furfante!
Dobbiam parlare secondo le regole, ché altrimenti
le ambiguità avran ragione di noi.

William Shakespeare (Amleto)

Le parole sono come i frammenti di puzzle ogni volta sempre diversi. Io con esse ci faccio un sacco di frasi. Una volta però usate si sporcano, perdendo il loro splendore, così mi tocca pulirle, rilavarle, smacchiarle, ecc... I termini antiquati cerco poi di ridarli una nuova vitalità, somministrandoli dei prodotti appositi a base di vitamine.
Le parole volgari invece le metto da parte e le uso solo quando ce n’è bisogno. Dopo, tutte le parole le rimetto ne loro cassetto, chiuso a chiave. Un giorno mentre tentavo di esprimere il mio dissenso nei confronti dei sistemi e metodi usati dai pubblici ufficiali nei miei confronti mi accorsi che non riuscivo più a trovare le parole, ma dove le avrò mai messe, forse le ho lasciate a casa... vado a vedere adesso se sono là. Arrivato a casa, ecco, apro il cassetto e... stupore! mi accorgo che non ci sono. Eppure le avevo messe accanto ai termini volgari. Qualcuno me le ha rubate, sarà stato il solito deficiente di turno. Ed ora come faccio a dirgliene quattro a quei bastardi? Ho deciso, prenderò le parole più volgari e poi vedremo, vedremo come andrà a finire. Io queste però non le so usare molto bene e così mentre esternavo la mia disapprovazione verso le divise persi il filo del discorso e non mi raccapezzai più. Me lo sentivo che sarebbe andata a finire male, non sono le parole adatte e così cominciai ad urlare. Loro mi presero di forza usando verso di me la parola ‘pazzo,’ mi fecero un T.S.O e fui spedito dritto nel reparto psichiatrico dove abusarono di me, usando altre parole tecniche come ‘psicotico’ ‘paranoico’, ‘ciclotimico’. Se avessi avuto anch’io questo tipo di parole avrei di certo ribattuto parola per parola le stronzate che dicevano su di me, purtroppo i termini tecnici li ho lasciati a casa e se per caso mi mettessi ad usare quelli volgari che ho in tasca, subito mi metterebbero a letto con una buona dose di valium per farmi addormentare.

È proprio strano, - pensavo tra me - non riesco proprio a capire. Se urlo mi prendono per pazzo, se ragiono non mi ascoltano e se sto zitto cominciano a pensare di me quello che vogliono. Non so più che parole usare! ah, ecco, una l’ho trovata: "Aiuto!". Non l’avessi mai detta.
Subito mi legarono a letto per farmi addormentare.
Cominciai a sognare...

Ero a casa, e mentre stavo aprendo il cassetto delle parole... vidi con terrore che erano tutte sparite! persino i termini più volgari, spariti. Rimasi di stucco, senza una parola.

Blob world

Noi "culi comodi" siamo del parere Che la new age sostutuirà la old age. E su questo nostro ottimismo non ci piove.

Verrà la civiltà dell’amore dove il buono e il cattivo si terranno per mano, si baceranno , si ameranno, scambiandosi carezze e tenere parole d’amore. Non ci saranno più bambini dentro i cassonetti dell’immondizia, non ci saranno nemmeno parti gemellari siamesi, e il dottor Marcelletti , che non sempre riesce a risolvere i suoi puzzle, e i dottori in genere con tutto il personale paramedico non avranno più ragione d’esistere perché non ci saranno più malattie né deformità da correggere. Tutti saremo belli e famosi.

Potremmo andare tutti a San Remo per cantare, anche i meno raccomandati, e vinceranno gli ultimi perché saranno i primi. Non ci saranno più bambini morti per fame, né i morti di fame. Non ci saranno più necessarie manifestazioni a favore dell’ambiente poiché avremo un pianeta pulito e splendente.

Tornerà Gesù che non sarà più messo in croce, anzi verrà osannato e ripagato del suo ormai ben trascorso sacrificio. Però la scena più bella e incredibile saranno le effusioni di gioia tra atei e credenti; le varie religioni non si scambieranno più insulti e pistolate ma vivranno in eterna amicizia.

Insomma ci saranno tante di quelle cose positive e solo positive da far venire voglia di prendere il mitra e sparare tra la folla.

Deformità

Io sono come voi mi fate diventare. Ma non potendo esserlo presumo che fra poco avrò una delle mie crisi.

- Esplosione verso la comunità borghese costituita -


Come volete dunque che io sia?
Il vestito che mi avete cucito addosso, più che un abito da sposo, mi sembra un camicia di forza.
E’ la stessa forza che usate contro di me.
- Mi mostrate pietà ma io non ne ho bisogno e vi compatisco, e allora cosa fate?
Mi mostrate disprezzo. Indifferenza.
Perché non vengo accettato per quello che sono?
La mia vita si rivolge contro l’ambiente in cui vivo.
Si dirà poi, ipocritamente con fintotondaggine magari, che è colpa della mancanza di lavoro.
Voglio fare però di testa mia. E’ questo il guaio!
Ma io non riesco più a sopportare questa tiritera, questo duello amletico fra me e la gente, e m'accascio cadendo come al solito nella disperazione.
Corroso dalla peste, nel mio atroce delirio mi ritrovo così solo, accasciato, chiedendo implorante il perdono.

Aiutami tu, donna, io da solo non ne sono capace.
Ma tu non sei abbastanza forte da sopportare la mia disperazione, e così mi rivolgo a Dio.
Ho pregato, ho pregato... ma lui non c’era.

Se Dio è dappertutto - mi chiedevo - come mai non si fa trovare mai? Dio, come parola, si può trovare sulla bocca dei credenti. Alcuni dicono di averlo nel loro cuore. Io penso di avercela con Lui.

Forse sono proprio un indemoniato. Ho nel cuore Il demonio di tutti.

- Tutti lo nascondono così bene -

L'aiuto solidale

Passeggiando il riva al mare un glottologo e uno psichiatra notano qualcosa in mezzo al mare, lì... vicino al molo.

GLOTTOLOGO: - ci sono delle grida concitate, che provengono da... guarda là... quel coso che galleggia e che sembra volere a tratti sparire sott’acqua; andiamo a vedere! - disse eccitato il glottologo allo psichiatra.

Avvicinandosi al molo i due riescono a capire cosa siano quelle urla; c’è un tizio che sta per affogare e che sta gridando.

AFFOGANTE: - Aiuto!...Aiuto!...

GLOTTOLOGO: - Che strano tipo!... cosa ci farà mai lì, in mezzo al mare, tutto solo?...

PSICHIATRA: - Probabilmente ha un carattere e una personalità a-sociale.

GLOTTOLOGO: - E' vero, sembra che parli senza farsi o per non farsi capire.

PSICHIATRA: - Un caso molto interessante! cercherò di prendere appunti per il mio nuovo libro; lo intitolerò: l’"incomprensione e le anomalie del liguaggio nei soggetti a rischio".

AFFOGANTE: - Aiuto!... aiut... Aiu...glugh... glugh...

GLOTTOLOGO: - Guarda poveretto come si agita e che pessima pronuncia!... Evidentemente non c'è stato nessuno che lo abbia mai aiutato a pronunciare le parole correttamente. Il ben parlare è la base della comunicazione e del comprendere. Sento proprio che devo aiutarlo, poveretto, così sarà poi capace di farsi capire

PSICHIATRA: - Mi sembra giusto e doveroso!... ed io poi gli prescriverò dei tranquillanti, in casi del genere sono indispensabili.

GLOTTOLOGO: - Ehi, affogante, adesso l’aiutiamo noi, non si preoccupi - grida il il glottologo affabilmente, e rivolgendosi al suo amico, sottovoce... - adesso gli farò una splendida lezione di dizione, tu intanto puoi studiare i suoi comportamenti, un caso del genere non capita tutti i giorni.

PSICHIATRA: - "Hai proprio ragione!"

GLOTTOLOGO - "Hey, affogante, mi sente?"

AFFOGANTE - "Aiuto, ai... glugh...glugh...

GLOTTOLOGO - Bene, adesso faccia attenzione e ascolta con calma quello che ho da dirle. Deve ricordare che il dittongo "aiu", trittongo per l'esattezza, non va pronunciato in quel modo, devi scandirlo non in quel modo ma come una sola emissione vocale, ehm... come se fosse una sola vocale, hai capito? affogante, mi sente?...

AFFOGANTE: - Aiuto, ah!...

GLOTTOLOGO: - Riprova ancora, ci vuole esercizio, dai, coraggio!

AFFOGANTE: - Aiuto!...Aiutatemi!...

GLOTTOLOGO: - No, non così, cerca di non essere frettoloso, calmati, rilassati, devi capire, che la i è una semivocale... e cerca di non bere...

AFFOGANTE: - Aiuto!... Sto affogando.

GLOTTOLOGO: - Bene vedo che hai fatto già progressi, il dittongo è venuto abbastanza bene, non me lo sarei mai aspettato; ora ti insegno, scusa se ti dò del tu, come si fa a... Hey, affogante mi sente?... Affogante!

AFFOGANTE: - Vaffanculooo!...

GLOTTOLOGO: - Ma, perbacco! le velari vanno pronunciate correttamente, non in quel modo come se avessi l’acqua in bocca; ecco, segua la la mia pronuncia... Hey affogante, mi sente?... Non mi sente. Sembra sparito nel nulla.

PSICHIATRA: - Peccato però, c'erano ottime possibilità di reinserimento, è un proprio un caso limite.
.GLOTTOLOGO: - Che maleducato! Nemmeno a ringraziarci per la nostra attenzione, non si è mostrato memmeno riconoscente per la stupenda lezione di dizione, e gratis per giunta. Che tipo strano, tutto quel suo modo di agitare le braccia, così, molto vistosamente, urlando, addirittura!... forse e soltanto un esibizionista, cercava di attirare l’attenzione o... che fosse uno schizofrenico? Hai annotato i suoi comportamenti?

PSICHIATRA: - Effettivamente è davvero un caso singolare. Il suo comportamento convulsivo psico-mortorio, cioè volevo dire psico-motorio, rivela certamente una disfunzione organolettica neuronale, presumibilmente dovuta al vissuto traumatico o ad esperienze mnestiche risalenti alla prima infanzia. Certamente è una caso che si sarebbe potuto trattare con una buona somministrazione di benzodiazepine o, più in generale, di antipsicotici, vista la sua inequivocabile tendenza alla schizofrenia cronica. Avrei voluto fargli un po’ di anamnesi ma è sparito così, nel nulla. Uno cerca di aiutarli, poveretti!... ma poi non si dimostrano malleabili e nemmeno riconoscenti verso chi gli dà "aiuto solidale". Fuggono... da se stessi. Si dileguano. Fa parte della loro malattia, che vogliamo farci!

GLOTTOLOGO: - E’ stupendo! Tutte questa terminologia mi fa impazzire, cioè... volevo dire mi affascina. Comunque è sicuramente un personalità anti-sociale.

PSICHIATRA: - Certo! Se si fosse mostrato un po’ più disponibile gli avrei praticato un trattamento elettro-convulsivante oppure una somministrazione di psicofarmaci per il disturbo specifico. Peccato che la buona vecchia leucotomia non si pratica più.

GLOTTOLOGO: - Comunque si è fatto tardi, mi è venuta fame. Sento un certo languorino! Se non le dispiace la vorrei invitare a pranzo.

PSICHIATRA: - D’accordo, accetto l’invito.

GLOTTOLOGO: - Che bello! Così potremo continuare la nostra conversazione sulle anomalie del linguaggio e le psicosi latenti che abbiamo studiato di questo strano caso.

PSICHIATRA: - allora - con tono scherzoso - cosa si mangia?

GLOTTOLOGO: - Vedrai una vera squisitezza, mia moglie sta preparando un piatto prelibato che solo lei sa fare così particolarmente bene.

PSICHIATRA: - Cosa ci aspetta a tavola dunque?

GLOTTOLOGO: - Polipi affogati!

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L'uomo animale sociale

"...e mentre anche se costretto a chiedere la carità, un uomo può essere e rimanere libero, nessuno mai può essere libero se costretto a essere simile agli altri." (Oscar Wilde (1856-1900))

Si dice spesso che l'uomo, in quanto specie, non può vivere solitario, adducendo prove e ri-prove a favore di questa tesi. È uno strano dogma culturale questo, così radicale e radicato nel mentalità ordinaria. L'uomo: essere sociale. La storia ci insegna raccontandoci delle guerre, di crimini atroci, smentendo di sana pianta questa becera visione acritica e asfittica del becero logos comune. Come se il più importante rapporto che possa instaurare l'essere umano sia quello col suo simile e non con il mondo, non specificamente di creazione umana, ma semmai naturale.  " L'uomo non può vivere da solo" è una bella cavolata. Chi è che lo stabilisce? E' più probabile invece che non possa vivere nell'odierna civiltà che lo esaspera mettendolo a dura prova giorno dopo giorno. Chi fra noi non ha mai sognato un isola deserta dove poter trascorrere tutto il tempo lontano dai quotidiani grattacapi? Robinson Crosué è sempre fra noi pronto a scappare, diventando un altro ricercato, un altro dei tanti casi, (apparentemente misterioso) da risolvere, dando così materia prima alle  trasmissioni televisive del tipo "chi l'ha visto".

La solitudine viene vista come qualcosa di estremamente negativo, come una forma di malessere dell'anima, una fuga dal mondo, un introversione che ci sprofonda nella depressione senza fine. Per esperienza so che non è così, anzi semmai ho sperimentato il contrario. La gente in fondo guarda le apparenze. Con la gente si potrà instaurare generalmente un rapporto per forza di cosa per lo più superficiale, magari di tipo evasivo, perdendo di vista il proprio centro vitale ed essenziale. Si può scherzare, ridere, divertirsi, discutere, instaurare
rapporti interpersonali, ecc..., però fatto sta che il centro restiamo sempre noi ed essendo esseri naturali riusciamo a stare bene solo instaurando un rapporto naturale e spontaneo verso il mondo, essendo noi animali uomini parte di quello. Se l'ambiente umano è troppo deteriorato la solitudine allora può rappresentare un'ancora (l'unica) di salvezza. Se ammettiamo, come è giusto, che la spontaneità è l'anima dello stare bene, dobbiamo per forza trarre le conclusioni che, se si vuole vivere bene e vivere a lungo, bisogna stare lontano dagli usi e costumi del regime societario, troppo alienante e paradossalmente non a misura d'uomo. Detto ciò potrei sembrare un misantropo (e forse lo sono) ma la pelle è "numero uno" e se per salvarmi devo misantropare allora misantropo, misantropo.

La scienza medica

"Avviene ciò che è avvenuto nei manicomi di tutto il mondo: liberi di agire senza alcun vincolo né morale, né etico, né tantomeno legale, gli psichiatri hanno pensato, realizzato e gestito dei grandi campi di concentramento con il fine di punire, controllare e far cambiare idea a persone che, in un modo o nell’altro, trasgredivano le leggi scritte e non scritte su cui si fonda il nostro vivere civile. Il fine esplicito della psichiatria sembra quello di trasformare le persone, tenendo conto non delle loro personali intenzioni e volontà, ma delle esigenze di chi sta loro intorno.
In questo senso credo si possa dire che non c’é uso della psichiatria che non sia in sé un abuso". (G. ANTONUCCI)

1.Ogni sistema si fissa al momento del suo inizio.
2.Una volta stabilito, il primo scopo di un sistema contraddirà lo scopo per la quale è stato creato: per esempio, il suo primo scopo diviene l'auto-perpetuazione.
3.Ogni sistema stabilito percepisce un elemento creativo come una implicita minaccia, poiché un elemento creativo incrementa il pericolo, e così la possibilità di un cambio all'interno dello status quo. (Robert Fripp)

Vorrei sollevare delle obiezioni riguardo a degli assiomi della scienza medico-psichiatrica. Tralasciando la questione spinosa dell’utilità o meno degli psicofarmaci.

- Il malato deve essere curato per guarire.
- I sintomi sono indizio di alterazioni mentali.

Poniamo altri due assiomi discordanti con i suddetti.

- Il malato guarisce da solo.
- I sintomi sono l’inizio di un abreazione, di una catarsi.

Perché non potrebbero essere validi i secondi? Cos’è che dà la certezza alla classe medico-psichiatrica di giudicare una persona, un essere umano, dai sintomi? Il sapere scritto sui libri? L’esperienza quotidiana del contatto diretto con i pazienti? Parlare della mente è ben altro che reputare scienza dei concetti e degli usi che oggettivano una qualità non definibile, non quantificabile.

La psicologia non è una scienza esatta, anzi né scienza, né esatta. La psicologia è ideologia: un mezzo di controllo sociale. Orbene, poniamo che una psicoterapia duri un certo lasso di tempo, al termine del quale l’analizzato risulterà guarito. La stessa distanza di tempo l’avrebbe guarito senza l’intervento dell’analista?

La psichiatria giudica il malato ma non se stessa. In effetti l’unico giudizio sicuro che si possa esprimere è proprio quello nei riguardi della psichiatria perché è un oggetto, ha un sua obiettiva realtà storica e concettuale. Le varie correnti di pensiero delle varie scuole hanno poi, molto spesso, una vistosa discordanza fra loro nelle teorie e nei metodi applicati. Si insegna a giudicare, si impara a controllare. I docenti di psicologia vengono analizzati per anni, educandoli, facendoli poi diventare giudici e difensori implacabili della norma.

Se i sintomi sono un processo dinamico di una abreazione, di una reazione a un trauma, perché non lasciarli scorrere nella loro giusta direzione naturale, spontanea, invece di soffocarli con le cure? Perché intervenire se non si conosce, né si può del resto conoscere, la soggettività del malato? Le cure non potrebbero allora peggiorare lo stato di salute del paziente?

Razionalità


"Il mio orrore per la tecnologia finirà per farmi arrivare all'assurda credenza in Dio." (Luis Bunuel)

Non è obbligatorio credere in Dio, in virtù del quale possiamo così essere distinti in atei e credenti, laici e clericali. Giustamente. Guai però a non credere nella scienza! (Carlo Giordano)

" Che senso può avere l'affannarsi per qualche cosa che tende verso l'annientamento?" (Raphael)

[...] Una società basata sul consumismo o sulla dittatura del materialismo corporale-formale è una società che evade il problema di fondo, che cerca di stordirsi ma non di risolversi e ritrovarsi. (Raphael)

Comunemente il ‘modo di fare’ per raggiungere un qualsiasi ‘obiettivo’ è quello che si rapporta alla razionalità. Tutto viene sistematicamente e preventivamente studiato. Siamo in effetti circondati da miriadi di oggetti che sono il frutto di questo studio. Abbiamo sistemi e modelli (sociali, economici, politici, religiosi ecc...). Ovunque si posa lo sguardo c’è una marea di cose pensate, oggetti costruiti per una specifica utilità. Ovunque ‘spostiamo’ la nostra immaginazione non possiamo fare a meno di constare che tutto è predisposto a una finalità prettamente ‘ragionata’. Ciò che opera nell’arte è invece un ‘intuizione’, un metalinguaggio di ordine superiore. E’ come disfare un mondo ordinario per far posto ad un 'altro' mondo .

Esiste una condizione e un modo di esprimere la propria essenza che non è riconducibile a un sistema logico-razionale di programmazione, costruzione e commercializzazione del ‘prodotto’. Quello che ‘l’anima’ produce comunica attraverso un ‘moto interno imperscrutabile’. La nostra civiltà è così poco propensa alla Fede, all’irrazionalità ( sistematicamente repressa).

Ma ciò che vogliamo nascondere o relegare ai margini torna prepotente a scompigliare le nostre ‘ovvietà’ quotidiane. Chi o cosa crea destabilizzazione dovrà per forza essere messo al ‘bando’ e a tale proposito ci sono strutture adeguate che hanno proprio la funzionalità di tenere a bada certe ‘incongruenze irrazionali’ . Esistono leggi, decreti, codici, ecc...Ci sono per i trasgressori pene pecuniarie, sistemi carcerari, detenzione psichiatrica, e chi più ne ha più ne metta: e la società costituita ha tutti gli strumenti adeguati a tale proposito. E’ molto difficile essere ‘veri’ in un mondo che ci mette nelle condizioni del ‘si salvi chi può’. Dobbiamo tutti per forza sviluppare una strategia di sopravvivenza.

I ‘professoroni’ blatterano fingendo di saperla lunga sulle questioni etico-morali, su come migliorare la produttività, come creare nuove imprese, nuovi posti di lavoro, ma ciò che resta ‘al di là’ da questo caos razionale rimane relegato nell’al di là e se per caso accidentalmente accedesse nell’al di qua’ subirebbe di certo una censura, una deformazione poiché incrementerebbe il pericolo di una destabilizzazione, a meno che il sistema non riesca ad assorbirlo e a reintegrarlo.

Un unità creativa per un ‘vizio’ di natura è difficile da inglobare, da tenere a bada poiché per definizione è in evoluzione dinamica, difficile da catturare, crea squilibrio nello status quo, ‘devasta’ i ‘luoghi’ consuetudinari. Ma la società in effetti ha bisogno di avere alle sue dipendenze unità creative ‘controllabili’, basti pensare a quanti artisti, scienziati e uomini di cultura hanno formato il nostro patrimonio umano-culturale insostituibile.

E’ sappiamo, e la storia ci insegna, come molto spesso venivano trattati questi uomini che hanno stravolto con le loro idee e opere il sussiego della società del loro tempo. Una volta passata la fase ‘destabilizzante’ si passava alla fase successiva e cioè quella di ‘reintegrazione’. Bisogna far pagare un prezzo a chi osa mettere in discussione i dogmi acquisiti. Tanti prometei hanno costruito e messo a punto un mondo che a noi appare ovvio, ma che in effetti non lo è mai stato.

Il, posto di lavoro

"Il clientelismo ha sempre ragione!" (Carlo Giordano)

Se è pur vero che il lavoro nobilita l'uomo e altrettanto vero che il posto di lavoro ci rende schiavi del sistema clientelare. In quest'ottica di sudditanza sociale il divergente verrà visto come un animale strano in preda all'istinto e all'anarchia, e ovviamente sarà temuto come forza, come potenzialità destabilizzante: un rischio reale e che quindi dovrà in tutti i modi finire poi escluso dal gioco, recluso. Siamo così un po’ tutti vittime e clienti di questo istanza del consorzio societario con la sua indole particolare di "leccata e fuga". Fuga naturalmente dalla responsabilità morale. Così fan tutti! Se è generale vuol dire che è normale. Se è normale non può essere divergente ovvero: sbagliato.
Esiste il trucco:

- Il lavoro è un diritto
- Il lavoro è un dovere
- Il lavoro ci permette di realizzare nostri sogni, i nostri desideri, se non altro ci permette di vivere. Ci dà dignità.
- Il lavoro non è per tutti: c'è una forte disoccupazione
- Il lavoro essendo diventato un bene scarso tenderà ad essere supervalutato.
- Il lavoro serve allora come mezzo di ricatto per livellare le coscienze, adeguarle al sociale e al normale, serve all'omologazione, essenziale per il potere socio-economico

La ricerca del lavoro diventa una necessità di primaria importanza. Se il lavoro è un diritto esso non lo è per tutti. La discriminazione così realizzata rende la società divisa in due grosse fasce sociali: da una parte i lavoratori e dall'altra i disoccupati.

Questo meccanismo perverso della nostra società da un lato permette la libertà di iniziativa individuale (libertà del resto abbastanza discutibile) e dall'altro afferma che chi non è in competizione è già in partenza escluso dal gioco. Il lavoro quindi è anche una forma subdola di ricatto, poiché tutto si compra col denaro e il denaro proviene dal lavoro, a meno che non si voglia prendere in mano le armi e iniziare a delinquere.

Nell'ottica capitalistica le fasce sociali più deboli sono quelle più devastate poiché non sono competitive: vecchi, poveri, emarginati, utenti psichiatrici, artisti, e in qualcuna di queste categorie  viene addirittura intravista la possibilità di un business. Per esempio i cosiddetti malati mentali non hanno niente che li difendano dallo squallido mercato degli psicofarmaci. Subiscono questo giro d'affari colossale sulla loro pelle. La mercificazione dell'uomo e delle sue qualità umane. La disgrazia dell'artista in questo contesto non rappresenta in fondo che una piccola parte di quella che è una disgrazia globale socio-economica ancora più vasta.

Il mestiere del buon partito


"L'amore è eterno finché dura." (dalle Leggi di Murphy di

L’amore, se fosse amore, sarebbe una cosa meravigliosa. (Carlo Giordano)

C’è un detto spagnolo che dice: ‘Tutto si paga col denaro, l’amore si paga con l’amore’. Io ridurrei l’insieme a: ‘Tutto si paga, direttamente o indirettamente, col denaro, anche l’amore’. Per esperienza (ormai ho quarant’anni) so che un mal partito non è mai ben visto.  Qualsiasi cosa si faccia ci si sente giudicati in bene o in male, a seconda se si rientra nella norma oppure se se ne discosta.
‘Sono un artista, voglio affermare me stesso!’ significa inevitabilmente essere posto nel dimenticatoio, in una zona marginale dove confluiscono i pettegolezzi, i raggiri, le intolleranze e gli eventuali aiuti mirati. Si è visti insomma un po’ come il diavolo alle prese con l’acqua santa.

Quale demone mi terrà legato alla mia diversità non lo so. So solo che esiste un inferno dove vengo spesso relegato per lo scopo di taluni, per essere da monito presumibilmente a chi vorrebbe dissentire; stando male, possono così approfittarne per concedermi il loro aiuto a patto che...

Un siffatto amore quindi rivela sempre qualcosa di estraneo alla sua essenza, che è quella di volere amare: una posizione economica sicura, un normale rapporto tra persone che si adeguano. Quindi la capacità di amare è vincolata fortemente a delle istanze materiali. Tutto ciò è acquisito come un dato evidente, normale, giusto, apertamente riconosciuto e confermato socialmente. L’amore può venire visto altresì come qualcosa che attizza, una invasione di desiderio e di pulsioni che tendono a sfuggire a un autocontrollo, a una gestione razionale.

La capacità di amare presuppone però il "rispetto per l’altro" (Fromm), significa comprenderlo, prendersi cura, interessarsi ai suoi problemi, non avere scopi secondari; dovrebbe essere presumibilmente uno scambio reciproco.

Altresì possiamo affermare che esiste una forza interna, scritta nel codice genetico, che tende ad estrinsecarsi ad attuare il suo destino biologico rivolgendosi all’altro sesso.

L’amore può rivolgersi al suo oggetto o ai suoi oggetti e non è, né può essere, solo estrinsecato nella sessualità. Si può amare l’amante, la prole, i genitori, delle persone a cui si è particolarmente affezionati, l’arte, delle vocazioni particolari.

Spesso si chiama impropriamente amore un egoismo collettivo. L’amore non è una ovvietà, e, parafrasando un certo detto possiamo dire: le vie dell’amore sono infinite.

La società invece definisce l’amore, dando una forma a ciò che è informe, ne stabilisce i confini, lo incanala per vie che le sono consone. In questi luoghi abbandonati da Dio l’amore per la famiglia è il vero amore, quello per l’arte è un disonore.

Da quanto detto si può dedurre che l’amore, il vero amore non esiste, si può intra-vedere nei film, lo si può pensare inserito nell’immaginario collettivo, ma resta infondo solo un immagine. Faremo bene allora a parlare, in modo più appropriato, della "capacità di amare", eliminando per sempre un termine ambiguo così falso e logoro.

Possiamo affermare: amore e odio in fondo sono le due facce della stessa medaglia. Non si ama senz’odiare, né si odia senza amare. La perfezione non esiste. Due amanti, così vicini, eppure tanto lontani.

Il signor t’amo lo visto
uscire a braccetto
insieme alla signorina t’odio.
Andavano perfettamente d’accordo,

dicevano fra loro:
"Non ci lasceremo mai
- oppure - "Lasciami per sempre!"

Che volete che vi dica:
Io, tu, loro.
Siamo tutti uguali,
come pure si potrebbe dire:
siamo tutti macchiati dallo stesso crimine.

linguaggio e metalinguaggio


La psichiatria vuole essere un metalinguaggio che spiega altri linguaggi, atteggiandosi a mo’ di vertice gerarchico di ogni possibile forma di comunicazione verbale o no. La psichiatria spiega l’arte. L’arte si piega al suo sapere e alla sua ignoranza. La psichiatria spiega cos’è la passione o l’amore e la passione o l’amore si piegano alla sua volontà e al suo presunto sapere. Come fare a spiegare cosa sia la psichiatria se è essa stessa la spiegazione di tutto? Bisogna piegarsi alla sua ignoranza, al nostro protettore. Dovrei comunque finire in un modo o nell’altro per essere "spiegato" o "piegato" secondo la prassi consueta del "il paziente riferisce che..." (Carlo Giordano)

[...] Un dialogo è qualcosa in cui si capita, in cui si viene coinvolti, del quale non si sa mai prima cosa ne ‘salterà fuori’, e che si interrompe non senza violenza, perché c’è sempre ancora d’altro ancora da dire... Ogni parola ne desidera una successiva; anche la cosiddetta ultima parola, che in verità non esiste. (Hans-Georg Gadamer)

"Ciò che nel linguaggio meglio si comprende non è la parola, bensì il tono, l'intensità, la modulazione, il ritmo con cui una serie di parole vengono pronunciate. Insomma la musica che sta dietro le parole, la passione dietro questa musica, la personalità dietro questa passione: quindi tutto quanto non può essere scritto. Per questo lo scrivere ha così poca importanza". (Friedrich Nietzsche)


La norma fa valere il suo potere tramite un linguaggio suo pertinente che spiega ogni altro linguaggio e cioè: la norma diventa meta-linguaggio che spiega e sovrasta ogni altra forma di comunicazione che non sia quella sua pre-definita. Similarmente si può dire che la politica, per es., diventa un modo per "comprendere" il mondo, sottomettendolo al suo potere specifico; quindi il "linguaggio" politico si veste di "metalinguaggio", sostituendo ogni altro possibile forma di linguaggio. La risoluzione dei problemi, trova sempre la sua soluzione nel Potere e nel potere che ha il linguaggio della norma politica di "definire". Qualsiasi problematica che non può essere risolta sul piano del presunto "metalinguaggio della norma" (politico o altro) rimane ignorata dal "sistema". E’ insomma una "forma normale" di in-globalizzazione di istanze divergenti che nel "metabolismo" siffatto omologante vengono eliminate in vario modo. Gli esempi adducibili che riguardano la preponderanza del metalinguaggio della norma sono innumerevoli. Obiettivamente esso non è un vero e proprio metalinguaggio ma semmai è un "usurpazione" del suo significato dovuto alla "dittatorialità" insita nella norma stessa. Quindi sarebbe più conveniente chiamarlo "pseudo-metalinguaggio". La norma ingloba in sé non in senso obiettivo-oggettivo ma in senso possessivo egoico. Un altro esempio pratico, senza andare troppo per il teorico, ci è offerto dal mass-media televisivo che già di per sé promuove lo "pseudo-metalinguaggio della norma", vuoi nel sistema di informazione, vuoi nella pubblicità e programmazione varia.
Se ci soffermiamo sul genere dello sceneggiato poliziesco ci accorgiamo che la "vita sociale" si svolge sotto l’egida dell’"attività di polizia" la cui funzione è quella di ordinare, di far rispettare le regole, di reprimere "tendenze anomale" e controindicate dal codice civile o penale che sia. Quindi possiamo dedurre che il linguaggio del genere poliziesco diventa un "metalinguaggio" che cerca di spiegare il mondo e la sua "funzionalità" soltanto rapportandolo a sé stesso. Avviene insomma una vampirizzazione di valori, qualità, tendenze, processi, il cui "significato" viene filtrato secondo l'ottica del "regime poliziesco" e del suo linguaggio. In effetti se ci fosse stato uno genere per così dire del delinquentesco il "risultato" sarebbe stato identico anche se in senso opposto. La norma quindi ha diversi canali di comunicazione; oserei aggiungere che invero ce li ha tutti. Così allo stesso modo avviene per il telegiornale che si "pro-pone" come metalinguaggio, come notizia che spiega il fatto, e il fatto di certo non farà il contrario. La norma, in qualsiasi modo si esprima, sostituirà sempre con la sua "forma" autoritaria del suo "linguaggio" ogni altra possibile e diversa forma di comunicazione. Ritornando al genere poliziesco si constata la bontà di certi valori più o meno esplicitamente espressi, come quello del "senso della realtà" e "senso della giustizia" filtrati secondo la codificazione del rispettivo genere. Il senso dei "valori indotti" vengono così ad avere un "imposizione univoca" che va dalla norma verso e contro un probabile e possibile "dissenso". Questo è quello che io definirei "regime della comunicazione" o "dittatorialità del linguaggio della norma". Un altro esempio di una forma di dittatorialità del linguaggio ci è offerto dal sistema psichiatrico. Terribile!...

Il "regime di comunicazione" in quest'ambito specifico spiega a suo modo, concomitante alla visuale e ai canoni più generali del regime societario, la "realtà" e il suo senso, che non può essere ovviamente "opinabile" tramite qualsiasi altro "linguaggio divergente" o "malato", poiché la "norma psichiatrica" stessa spiega e piega , essendo insignita e riconosciuta come "metalinguaggio", ogni altra possibilità comunicativa. Le opinioni, come in questo caso, di una "maggioranza" (che ha forza, potere o necessità di imporre la sua visuale) diventano così inesplicabilmente dittatura. Allo stesso modo l’arte, che dovrebbe essere un "metalinguaggio effettivo", viene ad essere sostituita nella "spiegazione del mondo" dalla "logica della norma" sia o no
"psichiatrica". L’arte verosimilmente non può ovviamente, in una simile condizione, spiegare o comprendere la psichiatria ma accade soltanto il contrario, e cioè: l’arte (non codificabile) viene a subire una comprensione(compressione), una censura e una distorsione significativa del suo senso e nel suo scopo da parte della codificazione psichiatrica e della sua opera pianificatrice per il controllo sociale.
Si assiste al paradosso, assurdo, che un "metalinguaggio effettivo", quale può essere quello dell’arte, venga "spiegato" e piegato da un "linguaggio".

E’ ovvio che solo un metalinguaggio potrebbe spiegare un linguaggio e non viceversa, a meno che non si instaura una "dittatura della comunicazione" in senso inverso ed è ciò che pratica di routine la norma.

Incomprensione

« Là la richesse universelle permettait bien peu de discussion éclairée ».

"l’universale opulenza dava scarso adito alla discussione illuminata". (Jean Arthur Rimbaud)

"Ovunque uno si trovi e per quanta illuminazione ci sia intorno, comunicare con gli altri è veramente difficile." (John Updike)

Io non sono nemmeno intravisto nell’opinione altrui e, per quanto mi sforzi (con tutte l’energia e la volontà che ho) per farmi comprendere, resterò per sempre la notizia che di me divulgano gli altri. (Carlo Giordano)
Io non voglio che si debba capire per forza quello che viene definita: la mia stravaganza. Se non la si capisce non importa. Fa lo stesso. Restate pure ignoranti. Anche io del resto rinuncerei a capire questa incomprensione. Resterei ignorante. C'è un magazzino dunque dove vengono ammucchiate tutte le incomprensioni, che voi chiamate dottrina, sapere... Sta solo nella vostra testa. C'è un altro magazzino dove giacciono gli incompresi che voi chiamate pazzi. Se svuotate la vostra testa di tutta la sapienza accatastata vi accorgerete che i pazzi spariranno.

La sapienza cataloga.
L'ignoranza controlla.
L'intolleranza porta a giudicare.
Il giudizio è insicuro.

L'insicurezza genera paura.
La paura è la madre di tutte le intolleranze.
La follia è tutto. La sapienza è niente.
- Il mare è così grande! -
Il sapiente presumeva di sapere la follia.
Il folle rideva e canzonava
oppure goffamente si schermiva.

Bisognava trovare un'intesa,
un punto in comune.
Il sapiente e il folle si incontrarono nel bosco
per discutere o scannarsi, non si sa.
Ci fu un rimescolio di carne.
Solo uno ne uscì vivo,
benché entrambi morti.

sabato 28 novembre 2009

La televisione mezzo di dis-informazione

"Bagordi, dovizie, pericoli:
l’antenna tivvù
percepisce i tuoi stimoli:
paura che la terra s’inabissi". (Carlo Giordano)


Al di là del disprezzo da tributare a questa scompisciata deriva collettiva, a monte c'è questo: è comunque impossibile comunicare. Non si può dire quello che si pensa, in quanto il discorso non appartiene mai a chi parla. Comunicare che cosa? Ogni comunicazione è corruzione d'accattto. E' fuor di luogo propedeutica a tutto ciò. Il via col vento dalla Storia e da ogni pretesa di comunicazione-mediazione, nel vuoto nel buio di che s'acceca il linguaggio, nel martirio impossibile di questo intestimoniabile spettatore-massa. (Carmelo Bene)

Al giorno d’oggi, invece, prevale un modello basato sull’improbabile iperefficienza dell’individuo, sulla necessità di mantenere self control anche nelle situazioni più estreme, sull’inadeguatezza di mostrare il proprio dolore e la propria spossatezza rispetto alla perdita di persone o situazioni amate. Odio la tv piagnona ma, allo stesso tempo, mi chiedo se potrà avere un futuro: sempre più spesso individui che hanno perduto un parente strettissimo si esibiscono davanti alle telecamere senza l’ombra di una lacrima, con perfetta proprietà di linguaggio e di intonazione vocale, quasi fossero interpreti di un film recitato troppo bene per essere credibile. (Vincenzo Minissi)

[...]Il successo non è niente. Il successo è l'altra faccia della persecuzione. (Pier Paolo Pasolini)

[...] ...la televisione è un medium di massa, e come tale non può che mercificarci e alienarci.
[...] Comunque... è proprio il medium di massa in sé: nel momento in cui qualcuno ci ascolta dal video, ha verso di noi un rapporto da inferiore a superiore, che è un rapporto spaventosamente antidemocratico. (Pier Paolo Pasolini)


...in genere le parole che cadono dal video, cadono sempre dall'alto, anche le più democratiche, anche le più vere, le più sincere. (Pier Paolo Pasolini)

Spegni la televisione (sic) prima che sia lei a spegnerti... se non sei già spento. (Carlo Giordano)

"Quando tutti pensano nello stesso modo, nessuno pensa molto."  (Walter Lippmann, 1889-1974)
Tutti noi ormai sappiamo degli esperimenti condotti sui cani da Pavlov e le sue conseguenze. Le sue  scoperte lo hanno portato a sviluppare sistemi di condizionamento sugli esseri umani. I riflessi condizionati, iI lavaggio del cervello, ci fanno capire la fragilità umana e la possibilità e la facilità di quanto sia facile condizionare la mente degli individui per scopi sociali, commerciali, abusando e usando cavie umane, come fossero degli oggetti.  La televisione impone, pre-dispone, induce, formatta le coscienze, educa in modo similare.

Il telegiornale ecco che annuncia la grossissima balla della scoperta del gene della schizofrenia. La schizofrenia è una malattia inventata di sana pianta per spiegare fenomeni di persone che si comportano in un certo modo poco adatto al sociale. Tanti studiosi non allineati hanno ampiamente dimostrato l'incongruenza e l'assurdità di definire schizofrenica una persona. Ciò non dice nulla a riguardo dell'individuo a cui la si è additata ma dà a chi gli sta attorno la possibilità di annullarlo nelle sue pretese, nei suoi intenti e nei suoi scopi;  e la sua stessa vita e le sue possibilità vengono così ormai gestite da altri. La schizofrenia dunque rappresenta "la sola possibilità per poter essere in una situazione impossibile da vivere". Quindi non può esistere il  gene della schizofrenia per il semplice fatto che non esiste la schizofrenia come malattia, ma come condizionamento sociale. Semmai potrà esistere il gene della psichiatria; ma non lo scopriranno mai, almeno non si azzarderanno. Un individuo, solo, non potrebbe impazzire, essere schizofrenico, psicotico, ecc...  poiché non c'è chi gli addita o gli riconosce la malattia. Ma quando entra nel campo gravitazionale sociale allora automaticamente avviene il riconoscimento tramite canoni prestabiliti, viene misurata la sua capacità di adattamento e di condizionamento al sociale. Quindi: bollato ed etichettato. La televisione come la psichiatria diventa così un potente quanto terribile mezzo per assoggettare. La televisione dunque ci mostrerà un simpatico Vittorino Andreoli (psichiatria), un altrettanto simpatico, colto ed eloquente Mirabella (conduttore televisivo) insieme al suo simpatico e fedele cagnolino dott. Gargiulo; ci mostrerà un simpatico e tranquillante (sic) ministro e dittatore della sanità U. Veronesi. Non ci mostrerà però troppo di ciò che contraddice tutta questa simpatia omogeneizzata come per es. esponenti dell'antipsichiatria, rappresentanti delle "medicine alternative" come  l'Igienismo che è apertamente in contrasto con le teorie e pratiche mediche. 
Le persone simpatiche mi sono
antipatiche

La realtà quasi sempre non è mai tanto simpatica come mostra la tivvù. Se esistono degli schieramenti politici ove possono prevalere di volta in volta ora l'uno ora l'altro, per quel che riguarda la scienza e il sistema economico non c'è un contraddittorio plausibile e attendibile che possa contrastare la tendenza vigente, unilaterale; dittatura incontestabile e non apparente, non facile da comprendere per le masse.

La velocità del mezzo televisivo impone una informazione sintetica, col tempo contato; la concisione, le domande e risposte da quiz non danno spazio ad esitazioni o ripensamenti, il valore come riflessione nello spazio televisivo sembra precluso, l'intelligenza preclusa (non perché non ci possano essere ma di per sé non sono sufficienti per poter restare in piedi in un simile contesto).

Ciò che è fondamentale nel mezzo televisivo è l'audience, l'indice d'ascolto; di conseguenza è basilare il cliché, lo stereotipo, l'informazione spettacolare, la notizia piccante, le indagini sull'indice d'ascolto, l'artefazione, l'artificioso, il tutto fa brodopurché incrementi l'audience. E' la democrazia del mezzo televisivo che si rivolge alla maggioranza dei teleutenti, un fatto positivo sotto questo punto di vista...

La libertà di pensiero viene sostituita dalla libertà di essere pensati; la libertà di emozionarsi viene a sostituirsi alla possibilità di farci emozionare; l'auto-controllo cede il testimone all'essere controllati; il volere cede il passo ai desideri indotti. La libertà di essere viene sostituita dalla induzione ad avere.

Il mezzo tele-invasivo (sic) è rivolto dunque agli ignari posseduti teleutenti-usati.

Ho assistito a una pietosa scena, una delle tante che mamma tivvù, ci propina. Una bellissima mostra di V. Kandinsky attualmente in non so quale parte, d’Italia penso. Un critico (presumo) spiegava alla giornalista con parole  tecniche tutta una serie di congetture, il perché di quei colori e quella tecnica particolare, noiosamente, copioso di attributi e cognizioni erudite riguardo a quelle improvvisazioni; forse non si rendeva conto che lui in quel contesto, col suo nozionismo e favella stressante rappresentava un bel cavolo a merenda; le immagini parlano da sole. 

I quadri sono fatti per essere guardati e non spiegati, poiché nel momento stesso che lo fai la pittura - come direbbe P. Picasso - se n’è andata via; è "come appendere un quadro al muro. Il chiodo è l’elemento che la distrugge". Il suo chiodo fisso cercadi spiegare alla giornalista  pronta a trapassare nel sonno insieme al parolaio e ai tele-utenti scassati. Come avrei voluto che ci fosse stato, in quei pochi minuti trasmessi, un po’ di silenzio, e al posto del blà blà si fossero fatte invece vedere soltanto le immagini, l'oltre-concetto, così abbondantemente coperte di insulti verbali.  Ecco cosa può essere ciò che noi chiamiamo critica o giornalismo.

Dice tivvù è dire dis-informazione!  Se i fatti parlano da soli bisogna farli tacere, è assiomatico.
L’innocente gioco dello sproloquio, in effetti, serve al mezzo televisivo per funzionare, con la sua normale indole ipnotica, poiché il silenzio gli nuoce gravemente.

Altra scena edotta dal tubo (catodico s’intende). Giornalista. Gallerista. Una faccia poco promettente che si stagliava dietro un giardino e una villa da sogno. Artista, pittore emergente, ex-fotografo. Fece vedere alcune delle sue, così definite, opere d’arte. Orrore!  Ecco: il gallerista, la villa, il giro di denaro, il raccomandato, l’informazione, il terrore, l’indifferenza.... La giornalista anche lei sbigottita, non disse niente della realtà personale sua, non espresse verbalmente reattività emotivo-soggettiva, né tanto meno un suo pensiero; rimase lì, per dovere di cronaca o imposizione, soltanto per aggiungere qualche parola che faccia da cornice conclusiva elogiativa.

Complimenti direi per la scarsezza di giudizio! Bella cacca da pappare! Anche una scorreggia reinserita in un circuito similare di produzione - raccomandazione - costruzione dell’immagine-propaganda-distribuzione e informazione può essere accolta favorevolmente dall’opinione pubblica. Che il pubblico tele-usato abbia mai avuto un sua opinione? Diciamo che si è creata una im-propria opinione imposta dai mezzi di dis-informazione. Le coscienze pubbliche per quanto si possono scandalizzare ritorneranno sempre, prima o poi all’ovile, sottomessi all’informazione, madre amorevole che li in-curerà e guarirà dalla loro insano allarmismo sintomatico. Questione solo di tempo, che, come si sa, è denaro.

Retorica delle religioni


La religione é un narcotico con cui l'uomo controlla la sua angoscia, ma ottunde la sua mente. (Sigmund Freud)

La decisione cristiana di trovare il mondo brutto e cattivo, ha reso brutto e cattivo il mondo. (Friederich Nietzsche)

La Chiesa é esattamente ciò contro cui Gesù predicò e contro cui insegnò ai suoi discepoli a combattere. (Friederich Nietzsche)
Le religioni, solo per il fatto di esserlo, sono condizionate da dogmi, da retorica, da stereotipia: nemici letali (sic) della verità assoluta.

Allora affermiamo sensatamente che, per amore della verità, "esiste una sola religione al di sopra di tutte le religioni, ma essa non è riconosciuta da nessuno, nemmeno da chi ci crede".

Dio, Buddha, Brahman, Allah,... Sono un solo dio. Le religioni in effetti sono la negazione vivente dell'esistenza di un solo ed unico Dio. Le religioni inoltre sono intrise di retorica, filosofia, ideologia che di per se contraddicono il credo della singolarità dell'essere supremo. Giacché l'Assoluto senza attributi non preferisce (sic) nessuna religione particolare possiamo dedurre paradossalmente che la non-religiosità è la vera essenza di Dio, essendo egli a-teo (sic). Un credente senza Dio è l'unico che può avere Fede.

Continuando il paradosso questo a-teismo religioso lo possiamo avvicinare alla ormai già acquisita concezione del Tao (Principio unico). In effetti la paura e l'ignoranza sono l'alimento di tutte le religioni. La paura ci lega al dogma, il dogma ci allontana dalla verità. L'ignoranza ci lega alla parzialità e al sapere dogmatico in un circolo vizioso e viziato senza fine, ci inchioda al samsara della relatività allontanandoci dal Tao (sic).

Il non avere Fede in nessuna delle religioni è condizione dunque essenziale per eliminare l'ignoranza e la paura della verità suprema.
L'ateismo è la religione suprema. Adesso però non ditemi che non sono credente.